Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 16 marzo 2013

EPIC intervista Emiliano Brancaccio su euro, austerità, MMT



Pubblicato da keynesblog il
Il gruppo EPIC (Economia Per I Cittadini) ha intervistato Emiliano Brancaccio, ricercatore e docente di Economia presso l’Università del Sannio.
Le cause della crisi europea, le divergenze tra paesi centrali e paesi periferici dell’Unione, gli ostacoli all’adozione di riforme in grado di contrastare le forze centrifughe in atto e la prospettiva di una implosione della zona euro. Una critica alla posizione di alcuni esponenti della Modern Money Theory favorevoli alle acquisizioni estere di capitali nazionali e un chiarimento sul fatto che esistono modi ben diversi di gestire una eventuale uscita dalla zona euro.

Papa Francesco, ma a noi donne che ci manca?

    
Papa Francesco, ma a noi donne che ci manca?

Pubblicato il 15 mar 2013

di Lidia Ravera -
Caro Francesco, mi rivolgo a Lei con la confidenza che merita, dato che, come narrano esultanti le umane gazzette, sa prendere l’autobus e cucinarsi due uova. Ho letto con dispiacere la sua dichiarazione a proposito del genere cui appartengo: “Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici. L’ordine naturale e i fatti ci insegnano che l’uomo è politico per eccellenza, le donne da sempre supportano il pensare e il creare dell’uomo, niente di più”.
Qual è, Francesco, quest’ordine naturale? Quello dei nostri corpi? Siamo inadatte alla politica perché abbiamo, incistato nella carne, il dispositivo che genera esseri umani? E questo dettaglio anatomico: ci situa al di sopra o al di sotto dell’agire politico? Quale lombrosiana divisione dei compiti ci condanna al ruolo di “supporter”? Lei davvero è convinto che apparteniamo a una razza inferiore, incompleta? E mancante di che cosa? Il pene? Il discernimento? Possiamo scegliere soltanto fra Maddalena e Maria, tertium non datur? Qual è la tara che ci rende indegne di esercitare quello che è un diritto di tutti i cittadini e le cittadine? colpa di Eva?
Per quanti millenni ancora dovremo pagare la libertà intellettuale, la curiosità che la rese disobbediente? (Risponda, la prego, visto che è un tipo alla mano).
dal Fatto quotidiano

Il problema è l'atterraggio

Rete dei Comunisti

Una storia si è chiusa. Una conclusione ampiamente prevedibile da parecchio tempo. Non riguarda solo le dimissioni delle Segreterie Nazionali di PRC e PdCI ma, più complessivamente, l’esaurirsi di una parabola storica iniziata con la nascita del PRC dopo la fine del PCI
 
Una storia si è chiusa. Questa conclusione, a dire il vero, era già ampiamente prevedibile e anche da parecchio tempo. Sia chiaro: non vogliamo – qui – fare riferimento esclusivamente alle dimissioni delle Segreterie Nazionali del PRC e del PDCI ma, più complessivamente, all’esaurirsi di una parabola storica iniziata con la nascita del PRC dopo la fine del PCI. Quando avvengono fatti di questa rilevanza non è mai solo una questione oggettiva ma sempre il suo combinarsi con quelle soggettive. Nessun comunista può mai essere sollevato quando vede il pezzo di una tradizione, cui lui stesso appartiene, scomparire nell’irrilevanza dell’attualità. Ma allo stesso tempo, la consapevolezza di essere dentro una battaglia lunga, aiuta a comprendere i passaggi di fase e lo smascheramento degli errori. Ovviamente pesantissimi, date le circostanze favorevoli in cui un’organizzazione comunista si trova in questo momento di crisi sistemica del modo di produzione capitalistico. Crisi che, come sottolineiamo da anni, è sistemica e non strutturale. Il capitale però sta sì su di un piano inclinato ma da solo non precipita. Davanti alle praterie sterminate che ci aspettano e in un momento in cui è molto più facile che non venti anni fa dirsi comunisti, aver preferito una linea politicista e non di organizzazione politica di rappresentanza del blocco sociale, è apparsa una scelta suicida. E, allora, affondiamo i piedi nel piatto. Che il risultato elettorale di Rivoluzione Civile sia stato negativo poco deve importare ai comunisti, nulla al paese.
Molto, invece, deve importare (ai comunisti, quanto al paese in generale, poiché le battaglie dei comunisti hanno sempre rappresentato una progressione anche all’interno della democrazia borghese) che questo risultato ha determinato la scomparsa, già durante la campagna elettorale, di un chiaro riferimento al movimento di classe. Nella lettera di dimissioni del gruppo dirigente del PRC si legge il rammarico per non essere riusciti «a far emergere il profilo antiliberista, di sinistra e popolare della lista, che è rimasta schiacciata tra le spinte al voto utile e quelle al voto di protesta.» Prima osservazione: la lista Rivoluzione Civile non aveva per nulla – ed era chiaro a tutti – i connotati di sinistra o popolari cui si è accennato e per questo era impossibile comunicarli. Seconda osservazione: al cospetto della crisi più grave che il modo di produzione capitalistico ha mai conosciuto non darsi, da comunisti, un profilo coerentemente anticapitalista (in realtà, a differenza del PRC, il PDCI dice di esserlo) ma limitarsi a un generico antiliberismo apparendo né più né meno dei liberali un po’ democratici, è incomprensibile. Ma ancora più stupefacente - e però indicativo delle ragioni della sconfitta - è il bollare (spregiativamente) «le spinte al voto utile e quelle al voto di protesta». Che cosa sarebbe, allora, il voto? Solo un pronunciamento etico? Un voto d’opinione? Roba da borghesia e da radicali.

L’uscita dall’euro trasformerebbe il deficit pubblico in un surplus

Intervista a Gennaro Zezza 

Forexinfo intervista Gennaro Zezza, professore associato presso l’Università di Cassino, e ricercatore presso il Levy Economics Institute degli Stati Uniti.

Tempo fa, abbiamo pubblicato sul nostro sito il suo contributo presente all’interno dell’ebook "Oltre l’austerità", dal titolo, Crisi dell’euro: invertire la rotta o abbandonare la nave?.

Oggi vi proponiamo l’intervista che abbiamo realizzato con il professore di Cassino.


1) Nel suo interessante contributo sulla crisi dell’euro, Lei parla di un’ideologia "neoliberista" che è alla base della suddetta crisi appunto. Ci può spiegare in cosa consiste?

R. Quando parlo di “ideologia neoliberista” mi riferisco alle idee politiche che hanno ottenuto consenso elettorale prima con Margaret Thatcher, nel Regno Unito alla fine degli anni ’70, e poi con Ronald Reagan negli Stati Uniti. Anche se l’ideologia neoliberista è più variegata, a mio avviso ci sono tre elementi di questa ideologia che sono alla radice della crisi attuale: il primo è l’idea che se una quota maggiore del reddito va ai ceti più abbienti (e ai profitti delle imprese), gli investimenti aumenteranno, l’economia fiorirà creando posti di lavoro, e l’aumento del benessere verrà diffuso a tutti (la cosiddetta trickle-down economics). Si è quindi provveduto a ridurre le aliquote di imposta sulle fasce più alte di reddito, e la quota dei profitti sul reddito prodotto è aumentata in tutti i Paesi industrializzati. Ma se il reddito di una piccola minoranza della popolazione è aumentato rapidamente, il reddito della famiglia mediana è rimasto al palo, spingendo le famiglie verso l’indebitamento vuoi per difendere il tenore di vita relativo, vuoi per potersi permettere servizi sempre più cari, in particolare (soprattutto negli Stati Uniti) sanità e istruzione.

Un secondo elemento del neoliberismo è l’idea che i mercati, in particolare i mercati finanziari, siano efficienti e in grado di governarsi da soli. Questo ha portato ad eliminare, prima negli Stati Uniti e poi altrove, la regolamentazione che impediva alle banche tradizionali di operare in mercati più speculativi. L’ideologia prevedeva che una minore regolamentazione avrebbe consentito di finanziare un maggior numero di investimenti riducendo il rischio. Nei Paesi che hanno deregolamentato, a fronte di famiglie desiderose di espandere le proprie spese indebitandosi, è aumentata la disponibilità di credito anche a soggetti che non offrivano adeguate garanzie, perché lo sviluppo del mercato dei derivati consentiva alla banca di passare ad altri il rischio dei “prestiti facili”.

Il terzo elemento dell’ideologia neoliberista è lo specchio del secondo: i mercati sono efficienti, mentre il settore pubblico è inefficiente, corrotto, sprecone. Va ridotta la presenza dello Stato nell’economia, per avere maggiore benessere.

A distanza di oltre trent’anni dal primo governo Thatcher, dovrebbe essere ormai possibile tracciare un bilancio del programma neoliberista, e constatarne il totale fallimento: le privatizzazioni non hanno aumentato l’efficienza nella fornitura dei servizi, ma hanno senz’altro aumentato le fortune di chi ha preso in gestione i mercati prima pubblici; la deregolamentazione dei mercati finanziari ha consentito che si arrivasse alla crisi dei mutui negli Stati Uniti, che si è trasmessa rapidamente in Europa, costringendo i governi ad intervenire per salvare le proprie banche, e contribuendo in questo modo alla esplosione dei deficit pubblici; infine, la concentrazione dei redditi nelle mani di pochi ha contribuito a tener bassa la domanda, e non si è tradotta in maggiori investimenti produttivi e in un aumento duraturo del benessere.

Nonostante questi fallimenti, mi sembra che le tre idee di cui ho parlato abbiano ancora un forte fascino in Italia. E anche i movimenti contro la “casta dei politici” che si propongono di smantellare gran parte delle strutture pubbliche di governo – invece di renderle efficienti – forniscono supporto al neoliberismo.

Mr. Full Monty, ovvero i salvataggi che han salvato gli altri

di Alberto Bagnai - sinistrainrete -

(aggiungiamo alla nutrita lista di autori del blog Alessandro "Torny" Guerani. Bei tempi quelli, quando si litigava... Sembra ieri... Ma non è detto che non si possa ricominciare)

Da Alessandro Guerani ricevo e (ritenendola impeccabile) pubblico questa cinica analisi della situazione:

Nonostante siano terminate le elezioni, con un risultato fra l'altro piuttosto chiaro su quello che pensano gli Italiani di certe idee strampalate, sui talk televisivi, su Twitter, ovunque, persino dentro al forno di cucina, a momenti, circola ancora la fola che il Governo Monti ci ha salvato dal default e ha rimesso in ordine i conti pubblici.
Vediamo di fare un po' di chiarezza su quello che è successo, cosa imprescindibile per capire cosa succederà o cosa potremo evitare che succeda (lo dico “ad usum ortotteri”).

“It's the same old story”

La prima parte della fola si smonta da sola: la stessa Commissione Europea ha certificato che il debito pubblico italiano è sempre (e ribadisco sempre) stato sostenibile e del resto lo affermava pure il Sen. Monti nei suoi ripetuti complimenti espressi su importanti organi di stampa nei riguardi del suo predecessore. Leggiamolo assieme: “Il ministro dell'Economia, di cui molti tendono oggi a dimenticare il merito di aver saputo mantenere un certo rigore di bilancio con un governo e una maggioranza poco inclini a tale virtù... ha deciso, con lucidità e rapidità, di imboccare una strada di redenzione o, in termini più asettici, di modifica di alcuni connotati di fondo che avevano caratterizzato, fin dall'inizio, l' impostazione di politica economica del governo.”
Quindi sinceramente non si capisce come il rigore di bilancio, così sapientemente applicato da Tremonti a detta dello stesso Monti, ci avrebbe portato nel giro di pochi mesi a correre il rischio di essere come la Grecia e di non poter pagare pensioni e stipendi pubblici. O meglio si capisce benissimo: è una balla che gli stessi dati di Bruxelles confermano.
Per comprendere cosa realmente è successo bisogna ricordarsi il “romanzo di centro e periferia”: nei paesi periferici arrivano i capitali, l'inflazione aumenta, la competitività cala, la bilancia dei pagamenti peggiora e alla fine non si hanno più i soldi per ripagare i capitali importati e gli interessi sugli stessi: si entra insomma nella spirale del debito estero.
Questa dinamica era ben presente ai nostri finanziatori, che, ricordiamoci, finanziano innanzitutto il debito privato, sì, la tua BMW (comprata con il convenientissimo prestito a tasso zero) e sì, pure la tua casa, che hai preso col mutuo.
Appena visto quello che era successo negli USA (vi ricordate vero il crack Lehmann ecc?) ecco che le banche estere, che prima prestavano con tranquillità sull'interbancario dell'Eurozona, all'improvviso rientrano dai loro finanziamenti e serrano i rubinetti. Avendo l'Eurozona un sistema di pagamenti interbancari unificato, che si chiama Target2, entrò in funzione immediatamente, in modo automatico, l'assistenza della BCE e del SEBC (Sistema Europeo Banche Centrali).

L’esercizio del credito nella Repubblica italiana

Stefano D'Andrea - sinistrainrete -

Molti si entusiasmano per l'Unione bancaria: sostengono che l'Unione bancaria sarebbe "una svolta". Per altri sarebbe un passaggio necessario, che tuttavia comporta rischi. Per tutti è un bene. Nessuno che dica: è una scelta politicamente o economicamente sbagliata. Invece, se la creazione dell'Unione bancaria sia costituzionalmente legittima, questo è un problema che non solleva nessuno.

Ed effettivamente non è un problema. Perché esiste una disposizione costituzionale così precisa, così calzante, così chiara, così bella, così completa, così profonda, capace di dire cose immense con poche parole, che non c'è proprio niente da discutere
"La Repubblica… disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito" (articolo 47 della Costituzione italiana).
La Repubblica disciplina il credito; non possono essere organi dell'Unione europea a disciplinare il credito; né possono essere soggetti privati. Le limitazioni della sovranità, previste dall'art. 11 della Costituzione, a parte ogni altra considerazione, possono riguardare soltanto l'esercizio della sovranità nell'ambito di ciò che è prescritto dalla Costituzione; non la possibilità di esercitare la sovranità delegata al di fuori della Costituzione.
Comunque l'Unione bancaria non ha nulla a che vedere con il mantenimento della pace e della giustizia tra le nazioni. Quindi in questa materia non è possibile alcuna limitazione della sovranità. Gli autori, anche autorevoli, che richiamano il presunto carattere "aperto" del nostro ordinamento finendo per giustificare ogni limitazione di sovranità (Merusi), non possono essere seguiti.
Né è costituzionalmente legittima la indipendenza della banca d'Italia (e a maggior ragione l'estraneità alla Repubblica – è estraneità e non solo indipendenza - della BCE). La politica monetaria spetta alla Repubblica, il coordinamento spetta alla Repubblica e il controllo spetta alla Repubblica. La Banca d'Italia deve agire sotto le direttive del Governo. La disposizione non avrebbe avuto senso se, come pure si sostiene (ancora Merusi), con il termine "Repubblica" avesse richiamato semplicemente lo stato-ordinamento. Invece richiama lo stato-apparato, anche perché a coordinare e controllare – salvo la fissazione dei principi e delle modalità, compiti che spettano certamente al legislatore – non possono che essere il Governo e l'amministrazione (nella prima e unica Repubblica, il CICR: Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio). Dunque, seppure non si voglia aderire all'antica opinione che leggeva nella proposizione che commentiamo la costituzionalizzazione della legge bancaria del 1936, tuttavia è certo che la vigente legislazione bancaria è incostituzionale.
L'art. 47 della Costituzione non si limita ad attribuire alla Repubblica una competenza che il legislatore non può trasferire ad altri soggetti, bensì, imponendo alla Repubblica di coordinare l'esercizio del credito, detta anche un vincolo contenutistico, sebbene di carattere negativo, relativo alla disciplina dell'esercizio del credito.
Infatti, nel disciplinare il credito, la Repubblica non può affidarlo al criterio della concorrenza, perché l'esercizio del credito va coordinato. La scelta dell'introduzione del principio di libera concorrenza, è scelta di non adempiere il dovere posto dai padri costituenti: dovere di coordinare il credito. Il Parlamento italiano non può privare il Governo del potere di coordinare, né può sottrarre se stesso al dovere di coordinare legiferando. Si coordinano entità diverse per un fine o in vista della realizzazione di più fini: quelli costituzionali. Scegliere la concorrenza come criterio regolatore significa rinunciare al coordinamento e rinunciare ai fini (costituzionali) in vista dei quali deve essere disciplinata e svolta l'attività di coordinamento. La scelta nichilistica è anticostituzionale.
La tesi secondo la quale l'art. 47 sottrarrebbe la materia dell'esercizio del credito (e quella della tutela del risparmio) all'art. 41, 3° comma, ossia alla riserva di legge relativa e quindi alla programmazione (ancora Merusi), è una petizione di principio che non poggia su alcun dato letterale. Secondo questa tesi, anzi, l'art. 47, sarebbe un prius, perché si potrebbe programmare soltanto sul fondamento della tutela del risparmio, tutela che consisterebbe nella lotta all'inflazione (le indicizzazioni, chi sa perché, sarebbero incostituzionali). Come questa "costruzione", che è vera a e propria "invenzione" e anzi sovrapposizione della disciplina di matrice europea alla disciplina costituzionale, sia compatibile con la promozione della piena occupazione – che questa dottrina riconosce essere uno dei lati del "quadrilatero" della costituzione economica – non è dato sapere.
Invero, il trasferimento di moltissime competenze è già avvenuto, in aperta violazione della Costituzione: la disciplina del credito è in gran parte eteronoma, sebbene recepita, per lo più, dal legislatore nazionale. I traditori dell'ultimo ventennio (governi tecnici – in realtà di centrosinistra – centrodestra e centrosinistra) hanno già rinunciato a disciplinare e coordinare il credito per la realizzazione dei fini costituzionali. Ma vogliono tradire ancora una volta, perorando la causa dell'Unione bancaria. La Repubblica "controlla l'esercizio del credito"; "controlla l'esercizio del credito"; "controlla l'esercizio del credito"; "controlla l'esercizio del credito".
Dissolvere l'Unione europea o comunque recedere dai trattati e tornare alla nostra costituzione economica. Questo è il proposito politico che ogni cittadino italiano deve avere. Non usciremo dalla crisi economica, senza tornare alla disciplina dei rapporti economici contenuta nella Costituzione

venerdì 15 marzo 2013

Il Papa cinese.

- megacip -

xijinping308x150di Riccardo Achilli - Bandiera Rossa.
Mentre l’attenzione del mondo è concentrata sull’elezione del nuovo Papa, in Cina avvengono cambiamenti di importanza enorme per il futuro geo-economico del mondo. Nell’economia che oramai rappresenta il 12% del PIL mondiale, percentuale che nel 2017 arriverà a più del 14%, viene eletto, dall’Assemblea Generale del Popolo, il nuovo Presidente della Repubblica, che a sua volta designa il nuovo vice presidente ed il nuovo primo ministro. Il nuovo leader cinese, Xi Jinping, 59 anni, corona in questo modo una carriera politica brillante, favorita dal cronico nepotismo che esiste nelle élite cinesi, e che privilegia, nell’ascesa al potere ed a posizioni prestigiose, i discendenti della prima guardia di rivoluzionari (tanto da coniare, per questo gruppo di privilegiati, spesso attivi in grandi giri di corruzione, il termine dispregiativo di “principi rossi”, o Taizi).
Con una fama di efficiente funzionario del capitale internazionale, guadagnata facendo crescere notevolmente gli investimenti diretti esteri nelle province in cui è stato governatore, questo ingegnere chimico ha fatto un lungo percorso da uomo di struttura del partito, entrando nel Politburo già nel 2002, per arrivare alla segreteria del partito a Shangai nel 2007, chiamato a fare un repulisti generale di una delle sezioni più corrotte del Pcc, ed infine a membro dell’ufficio politico, nonché primo segretario del Cc, presidente della scuola di partito e vice presidente nel 2008.
E’ considerato un grande protetto del suo predecessore Hu Jintao, leader che ha introdotto numerose riforme in senso liberista, pur preservando il modello di “socialismo cinese”, ed ha spostato l’attenzione delle politiche economiche verso un maggior benessere dei cittadini ed una migliore equità distributiva.
Il piano quinquennale 2011-2015, infatti, ha come obiettivi principali l’aumento dei consumi e il miglioramento dello standard di vita del lavoratore medio, attraverso una crescita maggiormente rivolta all’inclusione sociale e più sostenibile sotto il profilo della tutela dell’ambiente, nonché l’aumento delle importazioni, per migliorare anche la qualità del paniere dei consumi dei cittadini cinesi, accettando di fatto un rallentamento della crescita economica impetuosa di questi anni.
E’ quindi una strategia che punta più sulla qualità, inclusività e sostenibilità dello sviluppo che sulla crescita quantitativa, modificando profondamente le priorità sino a quel momento seguite dalla dirigenza cinese.
Xi Jinping sembra voler rappresentare la continuità con tale strategia del predecessore. A sorpresa, infatti, silura il conservatore Liu Yunshan, che nei pronostici era il favorito fra i vice presidenti, a favore di Li Yuanchao, un riformista, e soprattutto sceglie come premier Li Keqiang, esponente di spicco della corrente Tuanpai del partito (una corrente riformista relativamente indipendente dal capitalismo finanziario internazionale), che si è più volte è pronunciato per attuare progetti di ristrutturazione dell'economia cinese, soprattutto in campo sociale (con la concessione di diritti e l'aumento dei salari), mentre il modello economico eccessivamente sbilanciato sulle esportazioni, ha compresso, sempre secondo Li, i diritti dei cittadini, costringendoli a regimi di lavoro insostenibili.
Evidentemente la Cina sta entrando nella fase di maturità del suo percorso di sviluppo, quella in cui, tipicamente, si supera l’ossessione per la crescita quantitativa e si mira al miglioramento del tenore e della qualità della vita e dell’equità distributiva.
Tale cambiamento risponde alle aspettative di centinaia di milioni di cinesi, soprattutto dei giovani che entrano nel mercato del lavoro, e che non hanno intenzione di imitare la vita di sudore e sacrifici condotta dai padri (a tal proposito, stanno aumentando fenomeni come l’abbandono, da parte dei figli, dell’impresa familiare creata dai genitori, o addirittura un fenomeno di dimissioni volontarie dal posto di lavoro, da parte di giovani che preferiscono avere tempo libero per sé stessi piuttosto che sacrificarlo alla carriera professionale).
Risponde anche all’esigenza di riequilibrare un modello di sviluppo che si è concentrato nelle grandi aree urbane e nella fascia costiera, creando un enorme squilibrio con le zone rurali interne, ancora molto povere, e pericolose tensioni, spesso sfocianti in un inurbamento disordinato di popolazione rurale in cerca di fortuna, spesso arruolata in lavoretti sottopagati nell’edilizia, e che rischia di scardinare lo stesso modello economico e sociale cinese.
Tale svolta serve anche a raffreddare la congiuntura interna, che per l’eccessiva crescita registrata negli anni passati, ha corso pericoli inflazionistici (con l’indice dei prezzi al consumo che ha raggiunto una crescita dell’8,8% a febbraio 2008) con la conseguente minaccia di gonfiamento di una pericolosa bolla sui valori immobiliari, che rischiava di trascinare il Paese nello stesso baratro di crisi finanziaria dell’Occidente.

Bruxelles, la protesta nel cuore della Troika




Dopo l'austerity tour del 13 marzo, il 14 è stata la giornata delle manifestazioni. Al concentramento indetto dal sindacato belga hanno partecipano migliaia di lavoratori e attivisti arrivati da mezza Europa. Il corteo ha sfilato per il centro di Bruxelles in contemporanea allo svolgimento del vertice dei primi ministri UE. Alla fine della manifestazione, partecipata da oltre 10,000 persone, centinaia di attivisti dei movimenti con lavoratori e sindacalisti delle aziende in lotta hanno occupato gli uffici della Direzione Generale EcFin. All'uscita un ingente schieramento di agenti in assetto antisomossa ha circondato gli occupanti e arrestato circa trenta persone. Nella notte tutti vengono rilasciati con una denuncia penale.

Jorge Bergoglio ...

Fonte: donvitaliano.it
 .... e il suo passato vicino alla dittatura argentina
Il 23 Maggio 2006, sul sito del prete 'no global' Don Vitaliano della Sala, viene pubblicato un articolo sul "passato oscuro" del nuovo Papa Bergoglio. "Questo cardinale poteva essere papa!" è la prima frase che si legge. Dopo quasi 8 anni è successo davvero.

Ecco l'articolo:

23 Maggio 2006
Il lato oscuro del cardinal Bergoglio!

Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, presidente dei vescovi argentini, nonché tra i più votati, un anno fa, nel conclave Vaticano che ha scelto il successore di Giovanni Paolo II, è accusato di collusione con la dittatura argentina che sterminò novemila persone. Le prove del ruolo giocato da Bergoglio a partire dal 24 marzo 1976, sono racchiuse nel libro L’isola del Silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina, del giornalista argentino Horacio Verbitsky, che da anni studia e indaga sul periodo più tragico del Paese sudamericano, lavorando sulla ricostruzione degli eventi attraverso ricerche serie e attente.
I fatti riferiti da Verbitsky. Nei primi anni Settanta Bergoglio, 36 anni, gesuita, divenne il più giovane Superiore provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina. Entrando a capo della congregazione, ereditò molta influenza e molto potere, dato che in quel periodo l’istituzione religiosa ricopriva un ruolo determinante in tutte le comunità ecclesiastiche di base, attive nelle baraccopoli di Buenos Aires. Tutti i sacerdoti gesuiti che operavano nell’area erano sotto le sue dipendenze. Fu così che nel febbraio del ’76, un mese prima del colpo di stato, Bergoglio chiese a due dei gesuiti impegnati nelle comunità di abbandonare il loro lavoro nelle baraccopoli e di andarsene. Erano Orlando Yorio e Francisco Jalics, che si rifiutarono di andarsene. Non se la sentirono di abbandonare tutta quella gente povera che faceva affidamento su di loro.
La svolta. Verbitsky racconta come Bergoglio reagì con due provvedimenti immediati. Innanzitutto li escluse dalla Compagnia di Gesù senza nemmeno informarli, poi fece pressioni all’allora arcivescovo di Buenos Aires per toglier loro l’autorizzazione a dir messa. Pochi giorni dopo il golpe, furono rapiti. Secondo quanto sostenuto dai due sacerdoti, quella revoca fu il segnale per i militari, il via libera ad agire: la protezione della Chiesa era ormai venuta meno. E la colpa fu proprio di Bergoglio, accusato di aver segnalato i due padri alla dittatura come sovversivi. Con l’accezione “sovversivo”, nell’Argentina di quegli anni, venivano qualificate persone di ogni ordine e grado: dai professori universitari simpatizzanti del peronismo a chi cantava canzoni di protesta, dalle donne che osavano indossare le minigonne a chi viaggiava armato fino ai denti, fino ad arrivare a chi era impegnato nel sociale ed educava la gente umile a prendere coscienza di diritti e libertà. Dopo sei mesi di sevizie nella famigerata Scuola di meccanica della marina (Esma), i due religiosi furono rilasciati, grazie alle pressioni del Vaticano.

giovedì 14 marzo 2013

L'Europa stanca di questo capitalismo

Fonte: Lib21 | Autore: Jakob Augstein             
Jakob Augstein, columnist progressista, su Der Spiegel ribalta le offese di Steinbrück e attacca la leadership tedesca: dell’Europa non abbiamo ancora capito nulla.
E se i veri clown d’Europa fossero i nostri leader politici?
Un voto svizzero contro l’avidità e un voto di protesta in Italia: l’Europa è stanca di questo capitalismo. Solo i tedeschi non l’hanno ancora capito. Steinbrück sicuramente no.
In Svizzera i cittadini hanno votato contro l’arricchimento illimitato dei manager. In Italia un governo di tecnocrati è stato bocciato dagli elettori. C’è un populismo della ragione che si chiama democrazia. La gente è stanca del capitalismo che distrugge la società. L’indignazione è cresciuta, e monta la rabbia. Prima di tutto contro i tedeschi. Ma questi continauno a preoccuparsi solo dei loro soldi e offendono.
La storia del clown ci mostra: ancora una volta il candidato cancelliere della SPD non capisce che cosa sta succedendo in Europa. La Germania è diventata un problema europeo – e Peer Steinbruck non è la soluzione.
Fortunata la Svizzera! A volte bisogna invidiare il paese e la sua democrazia. In un referendum popolare gli svizzeri lo scorso fine settimana hanno fermato la follia crescente dei bonus, delle buone uscite e degli stipendi: in futuro saranno gli azionisti a decidere, e non piu’ i manager. Saranno vietat iI bonus all’ingresso e le buonauscite milionarie. Hanno avuto il coraggio di fare qualcosa, gli svizzeri.
L’austerità di Merkel è un inferno
Lo mostrano anche le reazioni alle elezioni italiane. Le “condizioni non sono chiare”, è stata la prima risposta dei mercati. Sono i veri sovrani e si comportano come tali. Moody’s ha minacciato un declassamento del merito di credito. E anche il mercato obbligazionario ha reagito: “l’Italia in cambio del caos elettorale ha ricevuto una fattura con interessi piu’ alti da pagare”, ha riferito la Deutsche Presseagentur. Perché per molti giornalisti è normale che siano “i mercati” a rilasciare una ricevuta alla politica.
Una domanda: perché allora non sono i mercati finanziari a eleggere direttamente i governi? In verità succede già da molto tempo. Il professore di economia Mario Monti in Italia e il banchiere centrale Loukas Papademos in Grecia erano tecnocrati insediati dai mercati – e da Angela Merkel.
La cancelliera tedesca ha incatenato alla sua disastrosa ideologia del risparmio l’intero continente. “Austerità”, suona bene e sembra ragionevole. Ma in verità è l’inferno. Le misure di austerità fanno crollare l’economia. In questo modo si aumenta il peso del debito. E non si crea fiducia. Il denaro pero’ è una questione di fiducia. Il saggio Wolfgang Münchau qualche giorno fa sempre su Der Spiegel ha scritto: “viene chiamata anche trappola del debito. Non se ne esce senza l’aiuto esterno. E piu’ ci si dimena, piu’ si scivola in profondità”.
Non è solo il “nostro Euro”
Gli europei sono sempre piu’ stanchi di Merkel e dei mercati. “Il sogno tedesco è l’incubo europeo”, ha scritto il quotidano “Le Monde”. Appena 25 anni dopo aver riconquistato la piena sovranità, la Germania in Europa si ritrova sulla via dell’isolamento politico.
Questa è l’eredità politica di questa cancelliera. Merkel non ha capito che l’Europa è un progetto politico. Non un progetto contabile. Non ha saputo spiegare ai tedeschi che cosa l’integrazione significhi: non solo gli altri dovranno integrarsi. Anche noi. “Schock dopo le elezioni italiane. Distruggeranno il nostro Euro?”, scriveva l’edizione online della Bild-Zeitung. E qui c’è proprio un malinteso. Non è solo il “nostro” Euro.
Probabilmente il quotidiano popolare riesce a intercettare lo stato d’animo dei cittadini. E’ come se i tedeschi non capissero che cosa c’è attualmente in gioco. Assistono all’indebolimento morale del loro sistema sociale con una strana indifferenza. Il movimento Occupy, che due anni fa ha avuto un forte successo, si è spento rapidamente, e nessuno sente la loro mancanza. La tassa sulle transazioni finanziarie, di forte importanza simbolica, viene frenata dal piccolo partito della FDP.
Ma anche lo sfidante di Merkel, Peer Steinbrück, non è certo colui che spiegherà ai tedeschi l’importanza dell’Europa. Non riesce nemmeno a comprendere che cosa sta succedendo intorno a lui. Steinbrück ha offeso il vincitore delle elezioni Grillo chiamandolo “Clown”, ma non ha nessuna idea delle condizioni italiane.
Dove dominano la corruzione, la criminalità e la cleptocrazia il clown probabilmente è la sola alternativa ragionevole. Ma Grillo non è un clown. E’ un moralista. Nella politica italiana non si è abituati – e nemmeno in quella tedesca. Le sue richieste – limite al numero di mandati, riduzione dei parlamentari, legge contro il conflitto di interesse dei politici – sono tutt’altro che clownesche. E i “grillini” che stanno per entrare in Parlamento, non sono tecnocrati o lobbysti, piuttosto eletti nel senso migliore del termine.
Se Steinbrück fosse un socialdemocratico, avrebbe almeno un po’ di simpatia per questi uomini e donne e augurerebbe loro un po’ di fortuna per il difficile cammino che li attende.
Il sociologo Oskar Negt ha scritto: “Il presente soffre di una cronica malnutrizione dell’immaginazione produttiva”. Per la Germania è una frase perfetta. Ma per fortuna non per tutta l’Europa.

Berlusconi salvato da Napolitano… e dall’Europa

GIORGIO CREMASCHI –

gcremaschi
- micromega -
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano comprende Berlusconi e vuole garantirne il ruolo politico, nonostante i reati di cui egli è accusato. Non c’è da stupirci, questa è l’Europa reale che ci governa.
Che c’entra l’Europa? Ma davvero si crede che le istituzioni europee, di cui il Presidente della Repubblica è fermo sostenitore, siano interessate alla moralizzazione della vita pubblica italiana?
Guardiamo alla Grecia. Là il governo che piace alle istituzioni europee è quello che ha accettato quei memorandum, imposti dalla Troika, che hanno ridotto alla fame la maggioranza della popolazione.
Per giustificare quei brutali ordini di massacro sociale, i sostenitori della politica della Banca e della Commissione europee e del Fondo Monetario Internazionale, hanno spesso affermato che la Grecia paga così i duri costi della politica dissennata dei governi corrotti che si sono succeduti prima della crisi.
Già ma chi governa lì adesso? Proprio quei due partiti di centrodestra e centrosinistra che si sono alternati nella guida del paese. E il capo attuale del governo appartiene a quel centro destra accusato di aver falsificato i conti per entrare nell’euro.
Gli incendiari sono stati nominati pompieri e alle istituzioni europee questo va benissimo, purché siano il popolo greco a pagare e le banche a guadagnare.
Nulla da stupirsi dunque se il Presidente della Repubblica difende un pluri incriminato nel nome della governabilità. Questo non è un evento che viene solo dai percorsi della sinistra riformista e dalla sua storica subalternità alla cultura politica di Craxi e dei suoi discepoli.
C’è il potere europeo di mezzo, quel potere che ci ha imposto il governo Monti invece di farci votare più di un anno fa, quel potere che ora festeggerebbe se ci fosse la continuità della stessa maggioranza che quel governo ha sostenuto.
Il Presidente della Repubblica non ha avuto nulla da obiettare al vergognoso mancare di parola del governo italiano con l’India, una delle grandi potenze emergenti del mondo, atto che ci costerà caro sul piano degli affari oltre che su quello politico e morale.
Il Presidente della Repubblica tutela il diritto di Berlusconi a fare politica, nonostante questi sia sottoposto a processi che in altri paesi europei lo avrebbero già posto fuori dalle istituzioni.
Non è autonomia o orgoglio nazionale tutto questo, è obbedienza ai signori dello spread. Che furbescamente Berlusconi ricatta, minacciando la crisi totale se non viene, per l’ennesima volta, salvato.
Smettiamola quindi di considerare le istituzioni europee l’antidoto a Berlusconi. Quelle istituzioni hanno un solo interesse, che in Italia si continui a pagare come in Grecia. Se la casta garantisce la continuità dell’austerità e del massacro sociale, che viva la casta.
Questa è l’Europa che il Presidente della Repubblica difende e da qui la tutela offerta a Berlusconi. Se vogliamo cambiare, dobbiamo sapere che la liberazione dalla casta e dall’Europa dell’austerità sono la stessa cosa.
Giorgio Cremaschi
(13 marzo 2013)

Il papa buono ...

... visto da Buenos Aires

L’ascesa del cardinal Bergoglio al soglio pontificio affonda le sue radici nell’epoca più nera del suo paese, quella delle torture, dei bambini rubati alle madri sovversive e dei desaparecidos gettati agli squali. A macchiare l’immacolata carriera di un Papa che ieri ha sorpreso e commosso il mondo, ci sono testimonianze e accuse precise quanto atroci: la consegna, o almeno la rinuncia a tentare di salvare dalle mani dei carnefici due giovani sacerdoti gesuiti impegnati nel lavoro di base e sequestrati per cinque mesi nel 1976. Orlando Yorio e Francisco Jalics furono rinchiusi e torturati nella Esma, la palestra più nota e crudele delle torture dei militari. Ai giudici argentini, Bergoglio ha raccontato una versione dei fatti che non ha mai convinto. E non convince nemmeno Horacio Verbitsky che ci racconta chi è e come si muoverà un pontefice che sorprenderà solo chi non vuole conoscere il suo passato
di Horacio Verbitsky*
Jorge Mario<br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br />
Bergoglio

Tra le centinaia di chiamate e di mail che ho ricevuto, ne scelgo una. “Non ci posso credere. Sono tanto angustiata e infuriata che non so cosa fare. Ce l’ha fatta, è riuscito a ottenere quello che voleva. Vedo ancora Orlando in sala da pranzo, qualche anno fa, che dice: ‘Lui vuole essere papa’. È la persona indicata per tappare il marciume. È un esperto nel tappare. Il mio telefono non cessa di squillare, Fito mi ha chiamato piangendo”.
È il messaggio di Graciela Yorio, la sorella del sacerdote Orlando Yorio, che denunciò Bergoglio come responsabile del suo sequestro e delle torture che subì per cinque mesi del 1976. Il Fito che l’ha chiamata sconsolato è Adolfo Yorio, suo fratello. Entrambi hanno dedicato molti anni della loro vita a dar seguito alle denunce di Orlando, un teologo e sacerdote terzomondista che è morto nel 2000 sognando l’incubo che ieri si è fatto realtà. Tre anni dopo, il suo incubo è stato designato arcivescovo coadiutore di Buenos Aires, cosa che preannunciava cosa sarebbe avvenuto dopo.
Orlando Yorio non arrivò a conoscere la dichiarazione di Bergoglio davanti al Tribunale Oral Federal 5. Lì Bergoglio disse che solo di recente aveva saputo dell’esistenza di bambini rubati alle famiglie dopo la fine della dittatura. Ma il Tribunale Oral Federal 6, che ha giudicato il piano sistematico di appropriazione dei figli dei detenuti-desaparecidos, ha ricevuto documenti che indicano che già nel 1979 Bergoglio era ben informato ed era intervenuto almeno in un caso su richiesta del superiore generale, Pedro Arrupe. Dopo aver ascoltato il resoconto dei familiari di Elena de la Cuadra, sequestrata nel 1977, mentre si trovava al quinto mese di gravidanza, Bergoglio le consegnò una lettera per il vescovo ausiliare di La Plata, Mario Picchi, chiedendole di intercedere presso il governo militare. Picchi verificò che Elena aveva dato alla luce una bimba, che fu regalata a un’altra famiglia. “Ce l’ha una coppia per bene e non ci sarà modo di riaverla”, disse alla famiglia. Nella dichiarazione scritta, in occasione della causa dell’Esma per il sequestro di Yorio e dell’altro gesuita Francisco Jalics, Bergoglio ha detto che nell’archivio episcopale non c’erano documenti sui detenuti-desaparecidos. Ma chi gli è subentrato, l’attuale presidente, José Aranceto, ha inviato alla giudice Martina Forns una copia del documento che ho pubblicato qui, quello sulla riunione tra il dittatore Videla e i vescovi Raúl Primatesta, Juan Aramburu y Vicente Zazpe. In quella riunione, essi parlarono con straordinaria franchezza sull’eventualità di dire o non dire che i detenuti-desaparecidos erano stati assassinati, perché Videla voleva proteggere quelli che li avevano uccisi. Nel suo classico libro “Chiesa e dittatura”, Emilio Mignone lo cita come paradigma di “pastori che consegnarono le loro pecore al nemico senza difenderle né riscattarle”. Bergoglio mi ha raccontato che in una delle sue prime messe come arcivescovo vide Mignone e fece per avvicinarlo al fine di dargli qualche spiegazione ma il presidente e fondatore del Cels alzò la mano facendogli capire che non voleva essere avvicinato da lui.
Non sono sicuro che Bergoglio sia stato eletto per tappare il marciume che ha ridotto all’impotenza Joseph Ratzinger. Le lotte interne della curia romana seguono una logica tanto inaccessibile che i fatti più oscuri possono essere attribuiti allo spirito santo. Che essi siano gli intrighi finanziari per i quali la Banca del Vaticano è stata esclusa dal clearing internazionale perché non osserva le regole indispensabili al controllo sul riciclaggio del denaro. Oppure per le pratiche pedofile, diffuse in quasi ogni paese del mondo, che Ratzinger aveva coperto dal Santo Uffizio e per le quali ha chiesto poi perdono come pontefice. Non mi stupirebbe nemmeno che, scopa in mano e con le sue scarpe consumate, Bergoglio intraprendesse una crociata moralizzatrice per ripulire i sepolcri apostolici.

Povero paese

- Beppe Grillo -
Povero Paese dove deputati e senatori della Repubblica si umiliano in gruppo per il loro padrone e occupano un tribunale della Repubblica senza che nessuno intervenga, senza il minimo pudore. Come faranno a guardarsi in faccia?
Povero Paese dove nel dopo elezioni si discute solo di alleanze, di poltrone, di cariche, di spartizioni e non di economia, di lavoro, di soluzioni ai problemi quotidiani.
Povero Paese con l'informazione peggiore (di gran lunga) dell'Occidente che usa il suo potere per infangare chiunque voglia il cambiamento, la trasparenza, la pulizia morale.
Povero Paese dove un presidente della Repubblica invece di andare in prima serata in televisione a condannare un atto eversivo di portata enorme come la triste sfilata di parlamentari negli uffici giudiziari, riceve Alfano (ex ministro della Giustizia...) al Quirinale il giorno dopo.
Povero Paese dove da vent'anni non esiste opposizione, ma un inciucio alla luce del sole, con un pdmenoelle incapace di pronunciarsi immediatamente sull'attacco alla magistratura di Milano, loro che volevano smacchiare i giaguari.
Povero Paese dove il Monte dei Paschi di Siena è scomparso dall'informazione, il più grande scandalo economico della Repubblica relegato in una nota a piè pagina.
Povero Paese dove nessuno si prende la responsabilità dello sfascio economico e morale, non il pdl, non il pdmenoelle, non le istituzioni, non le authority che dovevano vigilare, sembra che l'Italia sia stata governata da fantasmi. Un Paese senza colpevoli.
Povero Paese dove sui giornali e sulle televisioni dei partiti la verità è stravolta, il boffismo è consuetudine, e nessun organismo internazionale, a iniziare dalla UE si sente in obbligo di intervenire.
Povero Paese dove la legge elettorale è in mano ai partiti che la usano, la modificano, la stravolgono per la loro convenienza e non per dare una vera rappresentanza ai cittadini.
Povero Paese dove il governo si è sostituito per un decennio al Parlamento (formato da "nominati" dai segretari di partito dopo un osceno mercato delle vacche) e legifera a colpi di decreti legge.
Povero Paese che si dice democratico, dove le leggi popolari, come Parlamento Pulito, non sono neppure discusse e i risultati dei referendum ignorati.
Povero Paese in ostaggio degli interessi di tanti, di troppi, ma non del popolo italiano.
Ora siamo a una svolta. Gli italiani lo hanno capito.

mercoledì 13 marzo 2013

Berlino elimina le tasse universitarie ...

.... Ma ai Pigs dice di aumentarle

Il governo della Baviera decide di abolire le tasse d'iscrizione agli atenei. I movimenti studenteschi cantano vittoria. Altrettanto non possono fare quelli dei paesi che obbendendo a Berlino rendono il loro sistema d’istruzione sempre più selettivo.
educationdi Marco Santopadre - Contropiano.
Da tempo l’Ocse e le istituzioni europee raccomandano all’Italia, alla Spagna, alla Grecia di aumentare le tasse universitarie e di rendere più selettivi i sistemi di istruzione superiore. Ma Berlino fa esattamente il contrario. E’ quindi spiegabile il silenzio, e l’imbarazzo, dei media italiani. La notizia è la seguente: la Baviera ha deciso di sopprimere del tutto le tasse universitarie a partire dal prossimo anno accademico. Quindi in Baviera – la seconda regione tedesca per popolazione - dal prossimo anno non si pagherà quasi nulla per accedere ai corsi universitari, diventando così il quattordicesimo Land della Repubblica Federale ad aver abolito una spesa alla quale gli studenti – e soprattutte le loro famiglie – rinunceranno volentieri.

La decisione è stata adottata dal governo formato dalla coalizione tra socialcristiani della Csu – costola di destra del partito di Angela Merkel – e dai liberali della Fdp, andando incontro ad una legge d’iniziativa popolare che ha raccolto finora l’adesione di 1.350.000 cittadini, ben il 14,3% della popolazione totale del Lander. Se il parlamento regionale non dovesse approvare la misura la proposta di legge verrebbe comunque sottoposta a referendum popolare.
“Chi pagherà?” si chiedono i detrattori del provvedimento, in particolare i rettori e i consigli d’amministrazione degli atenei.
Il governo - come è giusto che sia - stanziando una cifra pari a circa 220 milioni di euro. Gli studenti, come in altre regioni tedesche, dovranno sborsare circa 400 euro all’anno per coprire alcuni quote amministrative di iscrizione, che tra l’altro danno diritto a sconti consistenti per accedere ai trasporti pubblici e a numerose attività culturali.
Come se non bastasse, il governo di centrodestra bavarese ha anche deciso di diminuire le tasse d’iscrizione alla scuola dell’infanzia e di aumentare quindi la quota del bilancio destinata alle spese per l’istruzione, fino a un miliardo di euro.
I movimenti studenteschi e i partiti della sinistra, da anni impegnati in una mobilitazione per la diminuzione delle tasse universitarie, cantano giustamente vittoria. L’applicazione della cosiddetta ‘riforma’ denominata Piano Bologna ha provocato anche in Germania un’ondata di proteste e manifestazioni. Come nel resto dell’Europa, centinaia di migliaia di studenti sono scesi in piazza, hanno occupato scuole e atenei, hanno protestato davanti alle sedi istituzionali. Tanto che in molte regioni la Bildungstreik (lo "sciopero della formazione") è stato il movimento di protesta più partecipato degli ultimi anni.
Ed ora di fatto dei 16 Länder tedeschi solo in due si pagano le tasse universitarie. Questo mentre Berlino, all’interno degli organi politici di governo dell’Unione Europea insiste e ottiene da Roma, Atene e Madrid l’aumento delle gabelle imposte agli studenti per accedere alla formazione superiore. Processo che, in tutti i Pigs, ha già espulso dal sistema universitario decine di migliaia di giovani appartenenti alla fasce meno abbienti della popolazione, già alle prese con una gravissima crisi economica e quindi impossibilitati a pagare migliaia di euro per ottenere titoli di studio spesso inservibili in un mercato del lavoro sempre più precario e deregolamentato.

Fonte: http://www.contropiano.org/esteri/item/15123-berlino-elimina-le-tasse-universitarie-ma-ai-pigs-dice-di-aumentarle.

Non siamo tutti nella stessa barca.

Fino alla fine del vostro mondo

Fino alla nascita del nostro

Area globale

Tempi di crisi
Gli effetti della crisi1 economica, politica e sociale del capitalismo sono sempre più sotto gli occhi di tutti. Giorno dopo giorno la crisi spinge verso la povertà non più soltanto i lavoratori salariati, ma anche settori di quello che una volta veniva definito "ceto medio".
La crisi non colpisce tutti allo stesso modo; non siamo tutti nella stessa barca come ama ripeterci chi vuole spingerci a remare, e la ricchezza prodotta dalla società, che non viene ripartita equamente nei periodi di crescita economica2, tanto meno viene ripartita equamente nei periodi di crisi: questa è una prima constatazione da fare, aldilà delle vane proteste di una sinistra che, in preda ad un evidente delirio di impotenza, alza continuamente il tiro delle chiacchiere.
Dalla crisi usciremo — quando e se questo avverrà — sulle spalle dei lavoratori attraverso un drastico peggioramento della loro condizione sociale. Dunque, malgrado i facili slogan, saranno soprattutto i lavoratori, che non hanno provocato la crisi, a pagarne le conseguenze, come sempre è avvenuto e sempre avverrà fintanto che resterà questo sistema. E questa è la seconda constatazione che dobbiamo fare, per quanto amara essa possa apparirci.

Il patto è saltato

Da molto tempo il rapporto con la politica istituzionale è diventato un rapporto di tipo sostanzialmente utilitaristico; lo è per i capitalisti di cui i partiti istituzionali3 sono i funzionari, ma lo è anche per i lavoratori che dai partiti istituzionali si aspettano la preservazione delle proprie condizioni materiali ed il mantenimento di quello che Beverly Silver4 chiama "patto sociale" reddito in cambio di consenso e che in realtà, più che un vero e proprio patto, era il risultato di un particolarissimo e irripetibile equilibrio che oggi la crisi fa saltare definitivamente,
riducendo i margini per la re-distribuzione della ricchezza e determinando una sempre maggiore polarizzazione sociale (i ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri).
Gran parte del sistema politico-istituzionale tradizionale, ormai privo di credibilità perché incapace di garantire i termini della precedente re-distribuzione, viene privato del consenso e lapidato, sia pure solo virtualmente.

Ma c'è ancora troppa fiducia

Il graduale distacco dei cittadini dai tradizionali partiti di centro-destra-sinistra non è affatto, in sé, una cattiva notizia. Al contrario, il ritiro di ogni fiducia a questi partiti è la premessa necessaria di qualsiasi ipotesi di trasformazione reale. Pertanto, non staremo qui a rammaricarci e siamo convinti che, diversamente da quanto affermano in coro i mass media di regime, non siamo di fronte ad un moto contro la politica, ma piuttosto ad un moto contro questa politica.
I lavoratori hanno perduto la propria fiducia verso i funzionari del sistema i partiti istituzionali che hanno governato l'Italia in questi ultimi decenni , ma non l'hanno ancora perduta verso il sistema nel suo complesso e non hanno ancora maturato la piena consapevolezza che il loro vero problema non è quello dei politici corrotti (che corrotti erano anche quando ricevevano ampi consensi elettorali5 e che peraltro meritano ogni stilla di odio che viene loro rivolta), ma proprio quello del sistema nel suo complesso che continua a colpirli nel reddito, nell'assistenza sanitaria e pensionistica, nel diritto all'istruzione... anche - e forse ancor più - quando l'"onesto" Monti (o l'''onesto" Bersani) sostituiscono il disonesto Berlusconi.

Onesti macellai

Ma ciò che oggi i lavoratori non hanno ancora capito saranno costretti a capirlo, quando constateranno come già stanno constatando, frugando nelle proprie tasche che il passaggio "dall'illegalità alla legalità" non è per loro fonte di alcun miglioramento della propria condizione.
In 13 mesi, il governo dei "tecnici" e degli "onesti" ha massacrato i lavoratori più dei precedenti governi degli "incapaci" e dei "disonesti". Il perché è presto detto: Berlusconi era debole e non era in grado di spingere a fondo le cosiddette "riforme", mentre a Monti è stata concessa una grande forza parlamentare e di immagine (la famosa "credibilità") che è stata usata per colpire violentemente i lavoratori (abolizione delle pensioni di anzianità, inizio dell'eliminazione dell'articolo 18, tagli sociali, ecc.).
Se vogliamo dunque auspicare la vittoria degli "onesti" non può essere certo per un fatto astrattamente etico – anche perché sarebbe grottesco parlare di etica in un mondo nel quale una "Ruby" riceve 7000 euro a notte mentre "metà della popolazione mondiale (tre miliardi di persone) vive con meno di due dollari al giorno"6 – ma in quanto tale passaggio – per parafrasare Lenin – mostrerà più chiaramente e più rapidamente ai lavoratori che il loro problema non è la mancanza di legalità nel sistema ma il funzionamento stesso, del sistema.

La fine di un modello di sviluppo

A che punto è la notte - Vladimiro Giacché

Una delle principali banche del paese ha maturato 2,2 miliardi di perdita netta nell’ultimo trimestre del 2012 e ha dovuto accantonare 1 miliardo per spese legali. La banca centrale ha ridotto ancora le previsioni di crescita. Nel solo mese di dicembre le vendite al dettaglio sono calate dell’1,7% rispetto a novembre, e del 4,7% rispetto al dicembre del 2011. No, non stiamo parlando dell’Italia, ma della Germania.
Della situazione drammatica in cui versano i paesi europei in crisi sappiamo molto: della disoccupazione in Spagna, dell’aumento dei suicidi in Grecia, e ovviamente dei fallimenti di imprese in Italia. Meno noto, invece, è il fatto che i paesi europei ritenuti «virtuosi» e «al sicuro» non se la passano affatto bene: la Banca Centrale dei Paesi Bassi prevede per l’Olanda un –0,5% del Pil nel 2013, e un ulteriore calo nel 2014; la disoccupazione è in aumento in Finlandia; quanto alla Francia, in cronico deficit della bilancia commerciale, lo stesso ministro del Lavoro l’ha definita «uno Stato in totale bancarotta».
Cosa sta succedendo? Semplice: nel 2007-2008 è saltato un modello di sviluppo che aveva sostenuto per trent’anni la crescita economica dei paesi a capitalismo maturo. Un modello imperniato sulla finanza e sul debito (privato e pubblico). L’implosione di quel modello non è più reversibile di quanto lo fosse la caduta del Muro di Berlino.
Ciò nonostante tutti gli sforzi dell’establishment occidentale in questi anni sono stati indirizzati a rappezzare quel modello andato in frantumi.
Si spiegano così l’assenza di regolamentazione dei derivati, il tentativo (riuscito) di ritardare al massimo l’entrata in vigore delle nuove regole sul capitale delle banche, e infine l’abortita supervisione europea delle banche (che varrà soltanto per le pochissime banche con attivi superiori ai 30 miliardi di euro, ed entrerà in vigore non prima dell’aprile 2014).
Non solo: come ha rilevato Bill Gross di Pimco, il maggiore fondo d’investimento specializzato in obbligazioni, «quasi tutti i rimedi contro la crisi proposti sino a oggi dalle autorità di tutto il mondo hanno affrontato il problema con l’obiettivo di favorire il capitale contro il lavoro». Ma in Europa a questa durissima guerra di classe si è unita una guerra feroce tra capitali. Una guerra determinata dal tentativo del capitale di Germania e paesi satelliti di far sì che la distruzione di capitale in eccesso oggi necessaria avvenga nei paesi periferici, da trasformare sempre più in fornitori di manodopera e di beni intermedi a basso costo per lo hub economico centrale dell’Europa – la Germania, appunto.
Il vero significato dell’austerity estrema imposta a paesi già fiaccati dalla crisi sta tutto qui. Ma questo obiettivo, in parte conseguito (la regressione della produzione industriale italiana ai livelli del 1988 parla da sola), ha comportato un pesante effetto collaterale: un crollo di redditi e consumi dei paesi periferici di tale entità da avere un impatto assai pesante sugli scambi commerciali intraeuropei. E quindi anche sull’export della Germania e degli altri paesi del Centro-Nord dell’Europa. Risultato: il problema della sovrapproduzione industriale, appena scaricato sulle spalle dell’Europa del Sud, si ripresenta come un incubo nella stessa Germania.
Inoltre l’accesso ai mercati extraeuropei è reso più impervio dalla guerra valutaria scatenata dagli Stati Uniti e dal Giappone attraverso imponenti immissioni di liquidità nel sistema che hanno avuto l’effetto di provocare un forte indebolimento di dollaro e yen nei confronti dell’euro. Crisi economica, disoccupazione di massa, deflazione salariale, guerra valutaria: quattro ingredienti cruciali della crisi degli anni Trenta sono chiaramente dispiegati davanti ai nostri occhi, mentre anche il crescente attivismo militare europeo in Africa contribuisce a riportarci indietro di decenni.
È in questo contesto che i movimenti di opposizione, in Italia e in Europa, dovranno saper collocare i loro obiettivi. A cominciare dall’opposizione alle politiche di austerity depressiva e alla cornice istituzionale entro la quale si collocano, di cui il famigerato Fiscal Compact è soltanto l’ultimo tassello. Una cornice che ormai serve soltanto a puntellare malamente un modello di sviluppo che ha fatto fallimento.

Il dilemma della spesa pubblica

Piero Valerio - sinistrainrete -

Fa bene o fa male? E' il problema o la soluzione?

Non dico di essermi pentito di aver votato il Movimento 5 Stelle, perché è ancora prematuro emettere giudizi definitivi, ma quasi. Se dovessi dar credito a tutte le voci che si sentono in giro, dalle bizzarre idee di presunti economisti o esperti affiliati al movimento di Beppe Grillo fino alle dichiarazioni un po’ confuse e contraddittorie dei neo-deputati del M5S, non c’è proprio da star tranquilli. Si va dalla solita solfa dei tagli alla spesa pubblica che fanno bene all’economia (per quale ragione non si sa, ma i dogmi e gli atti di fede sono affascinanti anche per questo motivo), al ritornello che l’uscita dall’euro costerebbe agli italiani un 30% di perdita di ricchezza finanziaria da un giorno all’altro (senza però mai menzionare quanto è costato e quanto costa oggi la permanenza nell’euro, anche in termini di vite umane), fino alla sana decrescita economica che fa tanto ambientalismo ecumenico da parrocchia (vallo a dire a un giovane disoccupato che non ha nulla o un imprenditore in procinto di fallimento che la decrescita del reddito nazionale fa bene anche lui, senza beccarti un ceffone in faccia!). Insomma ci sarebbero tanti motivi per maledire il voto espresso nel segreto della cabina elettorale.

Tuttavia c’è un breve dispaccio che proviene direttamente dal direttorio del blog di Beppe Grillo che mi rassicura: “Leggo e ascolto con stupore presunti "esperti" discutere di economia, di finanza o di lavoro a nome del M5S. Queste persone sono ovviamente libere di farlo, ma solo a titolo personale. I contributi sono sempre bene accetti, ma non l'utilizzo del M5S per promuovere sé stessi. Il M5S dispone di un programma che sarà sviluppato on line nel tempo da tutti i suoi iscritti. La piattaforma, uno spazio dove ognuno veramente conterà uno, è in fase di sviluppo dopo il rallentamento dovuto all'anticipo delle elezioni.” Forse non tutto è perduto. I cervelli pensanti del M5S hanno capito che bisogna mettere un freno a questi fenomeni da baraccone in cerca di celebrità pronti a saltare sul carro del vincitore portando in dote una vagonata di idiozie che mette i brividi. Dobbiamo dunque avere ancora un po’ di fiducia in Grillo e nei suoi ragazzi, aiutandoli e sostenendoli a dipanare il bandolo della matassa, che è già abbastanza ingarbugliato di suo, utilizzando i dati, i fatti, i ragionamenti più semplici e immediati da spiegare. I giovani aspiranti statisti del M5S sono e rimangono ancora, a mio avviso, la nostra ultima speranza per uscire dal guado, a patto però che anche loro si liberino dai legacci mentali e dalle paludi logiche in cui sembrano profondamente impantanati. Il loro essere giovani, onesti, puliti, simpatici, non li giustifica dalla stupidità e dalla mancanza di volontà di capire. Anzi, è un’aggravante, perché i giovani in genere dovrebbero avere meno sovrastrutture e barriere ideologiche (o solamente psicologiche e di puro calcolo e convenienza) ed essere più aperti al ragionamento attivo.

Proviamoci dunque ad instaurare un dialogo costruttivo con i giovani del M5S, non diamoli subito per spacciati. Sulla spesa pubblica abbiamo già detto tante cose, ricordando in molte occasioni che l’economia è spesa e se non c’è qualcuno che spende, l’economia si ferma, ristagna, arriva la deflazione e la riduzione degli investimenti, la moneta circolante scarseggia, fino ad arrivare alle estreme conseguenze del baratto e della violenza tribale della legge del più forte. Vogliono questo i ragazzi del M5S? Penso di no, non hanno le facce dei cavernicoli primitivi. Quindi, dovremmo essere tutti i d’accordo che la spesa, sia pubblica che privata, è il fattore determinante per riuscire a mandare avanti una moderna e complessa organizzazione democratica ed economica. In un periodo di recessione quando la gente riduce i consumi (e non riesce neppure a risparmiare a causa della contrazione dei salari e dei redditi) e le aziende non investono per le pessime aspettative di discesa della domanda e dei prezzi, chi deve e può spendere? Lo Stato. Ci sono dubbi su questo assunto? Oppure i ragazzi del M5S pensano che da Marte arrivi qualcuno che dal nulla faccia ripartire la nostra economia e ci consegni magicamente in dono un po’ di “crescita”, come tutti auspicano, o meglio blaterano? Le condizioni economiche mondiali e la nostra stessa struttura produttiva non fanno prevedere a breve una qualche prospettiva di un rilancio trainato soltanto dalla domanda esterna con le esportazioni (vedere a tal proposito il folle programma americano di tagli della spesa pubblica da $85 miliardi da qui fino a settembre, che ovviamente avrà ripercussioni anche qui da noi, in Europa).

martedì 12 marzo 2013

La trappola della Casta per il M5S

di Pixel - sinistrainrete -

1. A quanto pare stanno fioccando petizioni di militanti del M5S per questa o quella soluzione alla crisi di rappresentanza istituzionale uscita dalle ultime elezioni. Noi non siamo militanti del Movimento ma in quanto suoi elettori vorremmo esprimere alcune preoccupazioni. E le esprimiamo direttamente ai neo deputati e ai neo senatori cinquestelle che abbiamo eletto. Una delle “soluzioni” che si stanno facendo largo nella confusione generale è questa: associare il M5S in un’operazione di “rinnovamento” che accolga in qualche misura le proposte di ritrutturazione-moralizzazione della politica: riduzione del numero di parlamentari e dei loro emolumenti, finanziamento pubblico ai partiti, legge elettorale e magari anche una qualche forma di “politometro” cioè lo screening patrimoniale all’inizio e alla fine di un mandato (cosa che se ben ricordiamo in Francia si fa da sempre o si faceva). Pur di uscire dall’impasse la “casta” è disposta a provvedimenti in questo senso, ancorché piangendo molte lacrime.
Ma la “casta” non è solo una banda di persone attaccate con le unghie e coi denti ai propri privilegi, pronta a corrompere e a farsi corrompere.
Certamente questa indubbia caratteristica spicca in un Paese in cui vengono richiesti continui “sacrifici”.
Ma il problema e proprio questo: mentre i signori del prossimo governo o semi-governo attueranno una politica di cosmesi con l’aiuto da loro auspicato del M5S (che poi getteranno sul piatto delle prossime elezioni come una loro “conquista”), la politica di austerity del precedente governo bipartisan continuerà il suo corso coi meccanismi già messi in movimento e con altri che verranno ben nascosti, complici i media, dai fuochi pirotecnici attorno alle misure di moralizzazione politica.

2. Facciamo solo alcuni esempi. Anche quest’anno dovrà essere pagata l’IMU. L’Istat ha già detto alla fine dell’anno scorso che gli Italiani non hanno più soldi per pagare un’altra volta questa tassa. Se non si correrà ai ripari saremo costretti a vedere un Paese di famiglie e di piccolo-medie aziende che si indebitano con le banche (se non addirittura con gli strozzini) per pagare una tassa statale. Una base di debiti forse pronta a trasformarsi in una nuova ondata di derivati, un’incredibile “cartolarizzazione” della vita delle famiglie italiane e del tessuto produttivo capillare del Paese che nemmeno lo Sceriffo di Nottingham avrebbe avuto la fantasia di concepire, degna dei Vicerè inglesi in India.
Un secondo esempio. Le Fondazioni bancarie sono pronte al colpo di mano per prendere il controllo della Cassa Depositi e Prestiti, cioè di quell’istituto nato per raccogliere il risparmio postale dei cittadini e utilizzarlo per il finanziamento a tassi agevolati degli investimenti degli enti locali.
Un istituto con grande disponibilità di liquidità (circa quattro volte l’insieme di tutte le nostre banche private) che il buon senso vorrebbe che fosse trasformato in un istituto di interesse pubblico anche con la possibilità di comprare titoli di Stato (cosa già oggi possibile). Ma con un regolamento golpista che consegna grandi poteri decisionali ai soci di minoranza (proprio le Fondazioni bancarie) si è invece deciso di trasformarlo in una vera e propria merchant bank. E il fiduciario delle Fondazioni è, guarda caso, Franco Bassanini, nome di prestigio del PD.
Così mentre si imbiancheranno i sepolcri, il saccheggio del Paese proseguirà su un binario prestabilito, tirando in ballo come al solito, se necessario, i metafisici “mercati” e gli “accordi europei” sul cui marmo è stata incisa l’Agenda Monti per renderla capace di sfidare ogni intemperie politica.
Non bisogna poi scordarsi dell’altra cassaforte che viene abitualmente saccheggiata quando c’è da mettere mano ai soldi degli Italiani, cioè l’INPS.
La cosiddetta “riforma” delle pensioni continuerà nel suo lavoro distruttivo. Anche in questo caso, mentre si moralizzerà la politica, gli esodati rimarranno senza stipendio, senza pensione e senza ammortizzatori sociali, cioè senza un euro. E solo una delle tante conseguenze, notevole perché narra molto bene della cialtroneria del fu “tecnico” e di chi lo ha sostenuto.
E infine con o senza moralizzazione della politica la “riforma” del mercato del lavoro proseguirà con le sue gambe, indipendentemente, come ben sanno le migliaia e migliaia di nuovi licenziati, i precari a vita, chi non ce la fa più.
La sonora sconfitta dell’ex magistrato Ingroia, sostenuto dall’ex magistrato De Magistris, in una lista dove spiccava il nome dell’ex magistrato Di Pietro, dovrebbe aver fatto capire che ormai gli Italiani sanno che le “soluzioni” basate sul rigore delle corti di giustizia, sebbene diano alcune soddisfazioni e siano, ovviamente, anche doverose, non risolvono i problemi del Paese. La crisi non si risolve con la lotta conseguente alla mafia. Semmai è la mafia che sguazza nella crisi, nella sua gestione finanziarizzata.

3. Insomma, i tempi della gestione devastante di questa crisi epocale, sistemica, in cui i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri, in cui tutto viene rimesso in discussione, non sono gli stessi della politica, sono più veloci.
Mentre a Montecitorio si cercherà la pietra filosofale del risparmio sui costi della politica, in altri palazzi del potere reale si saccheggerà ricchezza reale.
Cari neo eletti del Movimento 5 Stelle, gli stipendi dei parlamentari, le loro impunità, i loro privilegi, le loro auto blu, il loro sottobosco di clientes, la loro quasi istintiva amoralità civica sono insopportabili. Lo sono sempre stati e ora solo con una faccia come il culo questi signori hanno preteso e pretendono “sacrifici”. Bisogna spazzare le stalle di Augia, sono troppo maleodoranti. È indubbio. Ma non bisogna scordarci della scia di devastazioni che lascia la loro politica di “sacrifici” e soprattutto delle sue finalità, ci fossero al governo anche le persone più specchiate del mondo.
E infine, ricordatevi che nel famoso Palazzo non si prendono tutte le decisioni. Anzi.
A piazza San Giovanni abbiamo tutti fatto “Boom” al presidente Napolitano in visita a Berlino. Ma prima di andare a Berlino, sempre sotto elezioni, era andato a Washington. Per un cordiale incontro con Obama? Ma va là. Era andato a recepire la “linea” imperiale, sicuramente illustrata nel doveroso linguaggio diplomatico, che poi è andato a negoziare in Germania. Perché questa crisi sistemica pone grossi problemi globali da risolvere, mette in moto grandi conflitti, contrappone interessi che devono essere negoziati.

Noi, in tutto ciò, siamo tra le varie ed eventuali, non certo in cima ai loro pensieri. I nostri soldi sì, ma noi no.
Si sono chiesti tutti dopo il disastro elettorale del PD, perché questo partito non sia voluto andare alle elezioni quando è caduto il governo Berlusconi. Ma che domanda è? Siamo seri! Lo sanno anche i sassi che non si è votato perché Napolitano aveva già da un pezzo preparato il golpe bianco con Monti e il PD doveva ubbidire.
Marco Travaglio ha scritto che a D’Alema la soluzione “inciucio” (o “governissimo”) scatta automaticamente come il braccio del Dottor Stranamore. E’ un po’ di più, caro Travaglio. D’Alema ha i riflessi condizionati da un quadro politico imperiale e subimperiale (che ovviamente non vanno sempre d’accordo) e solo in questo schema si muove più o meno in automatico.
Quindi, attenzione ai poteri decisionali reali, perché da lì provengono i missili più potenti e magari le benedizioni col randello nascosto dietro la schiena. E quindi, cari neo eletti del Movimento 5 Stelle, non scordatevi del contesto internazionale. E soprattutto di quello europeo, che ci è più prossimo.
Provate a pensare se non è il caso di riprendere lo slogan "No taxation without representation": o la UE diventa una struttura federale politica e fiscale con un Parlamento elettivo che decide, e non che si limita a ratificare le decisioni di una Commissione esclusiva ed escludente, o è in grado di ricostruire a livello sovranazionale tutte le istanze democratiche rappresentative che vengono sottratte a livello nazionale e a riequilibrare le politiche economiche e fiscali, oppure è meglio una separazione consensuale.
Senza dimenticarci, ovviamente, che la vera agorà democratica, come tutti noi sappiamo, è da costruire altrove, cioè nelle comunità.
Vi salutiamo con cordialità augurandovi battaglie vittoriose.

Disoccupazione e debiti, Italia in ginocchio

    
Disoccupazione e debiti, Italia in ginocchio

Pubblicato il 12 mar 2013

di rassegna.it -
Disoccupazione e indebitamento alle stelle, potere d’acquisto in caduta libera, giovani che non trovano lavoro, sfiducia totale nella politica. I numeri che emergono nel rapporto sul Benessere equo e sostenibile di Istat e Cnel pubblicato oggi (11 marzo) fotografano meglio di qualsiasi analisi politica anche l’esito elettorale. In Italia, tra il 2010 e il 2011, l’indicatore della ‘grave deprivazione’ economica sale dal 6,9% all’11,1%. Ciò significa che 6,7 milioni di persone sono in difficoltà, con un aumento di 2,5 milioni in un solo anno.
Nei primi 9 mesi del 2012 la quota delle famiglie indebitate, sostanzialmente stabile tra il 2008 e il 2011, ha segnato un balzo, passando dal 2,3% al 6,5%. Il più frequente ricorso al debito, generato in molti casi da mere esigenze di spesa, riguarda gli importi più bassi. La quota dei Neet, ovvero dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, tra il 2009 e il 2011 è balzata dal 19,5% al 22,7%. Quasi un giovane su 4 non è impegnato in percorsi formativi e non ha un posto. Inoltre viene evidenziato come ben l’8% dei Neet sia già laureato e quindi difficilmente potrebbe continuare a formarsi.
Il potere d’acquisto, cioè il reddito disponibile delle famiglie in termini reali, durante la crisi è crollato, scendendo del 5% tra il 2007 e il 2011. Sempre nel 2011, il tasso d’occupazione per la classe 20-64enni è sceso al 61,2%, dal 63% del 2008. Nell’Ue a 27 presentano un tasso ancora più basso dell’Italia solo l’Ungheria e la Grecia. Ciò è dovuto soprattutto alla scarsa occupazione che si registra tra le donne italiane, il cui tasso non raggiunge il 50% e nel Mezzogiorno. Non stupisce allora che a marzo 2012 – un anno prima del voto – il dato peggiore sul fronte della fiducia dei cittadini verso le istituzioni riguardi i partiti politici: la media, in un’ipotetica pagella su una scala da 0 a 10, si ferma al 2,3. Voti bassi anche per la fiducia verso il Parlamento (3,6), le amministrazioni locali (4) e la giustizia (4,4).
“Il rapporto Bes di Istat e Cnel per la misurazione del benessere rappresenta “una opportunità per la società italiana per discutere quale futuro vogliamo costruire”, anche se si tratta “solo di un punto di partenza per realizzare un cambiamento culturale che, mi auguro, aiuterà a migliorare in concreto il benessere della generazione attuale e di quelle future”. Così il presidente dell’Istituto di statistica, Enrico Giovannini. “Per ciò che concerne la politica – ha spiegato Giovannini – le esperienze internazionali, come quelle australiana e neozelandese, offrono importanti spunti per l’utilizzo del Bes: ad esempio, richiedere che le relazioni tecniche di accompagnamento delle nuove leggi descrivano l’effetto atteso sulle diverse dimensioni del benessere e non solo sulle variabili finanziarie”.

Grecia: le minacce della polizia ai ragazzini italiani non fanno notizia?



Martedì 12 Marzo 2013 12:55
- contropiano - 


Di Grecia ormai non si parla quasi più sui media italiani. Eppure domenica sera decine di migliaia di persone hanno invaso Piazza Syntagma. E poche ore prima la Polizia greca aveva arrestato illegalmente dei ragazzini italiani e minacciato i genitori.

Domenica sera centomila greci sono tornati a riempire Piazza Syntagma. Contro la troika – i cui rappresentanti erano ancora ad Atene ad impartire istruzioni al governo locale – e contro la repressione che sempre più sistematicamente colpisce ogni movimento sociale, ogni protesta dei lavoratori e dei cittadini. Una giornata di mobilitazione dei cosiddetti ‘indignados’ greci all’insegna dello slogan “La primavera dei popoli è iniziata”. Forse una parola d’ordine troppo ottimistica, visto che quando la piazza davanti al parlamento di era riempita i manifestanti hanno dovuto fare i conti con la brutalità dei poliziotti in tenuta antisommossa. In particolare con i Mat, i reparti speciali, che prima hanno inondato la piazza con i lacrimogeni e poi si sono accaniti su alcuni giovani, come testimonia un video pubblicato da alcuni siti greci di controinformazione.

La notizia in Italia ha avuto pochissima diffusione. Forse perché era domenica sera e c’erano i risultati del campionato di calcio. Oppure semplicemente perché della Grecia, ultimamente, meno si parla e meglio è per una classe politica alle prese con una ingovernabilità che non sembra poi così scomoda, invece, per l’Unione Europea ed i suoi meccanismi coercitivi.

Ancor meno diffusione ha avuto però, nei giorni scorsi, un’altra notizia, anche se coinvolgeva alcuni cittadini italiani residenti ad Atene.

A parlarne era nei giorni scorsi il sito della sinistra ellenica Left.gr, secondo il quale i poliziotti delle squadre speciali Delta si sarebbero resi protagonisti di un ennesimo atto di violenza gratuita.

Un italiano residente ad Atene ha denunciato che sabato sera (9 marzo) cinque ragazzi tra i 16 e i 19 anni – tra cui alcuni suoi figli – sono stati fermati senza motivo da una pattuglia dei Delta che gli ha chiesto di identificarsi. Nonostante i ragazzi avessero con loro i documenti e fosse quindi possibile realizzare l’identificazione sul posto, gli agenti li hanno prima perquisiti e poi obbligati a seguirli in commissariato, e come se non bastasse li hanno ammanettati prima di farli salire a forza sul loro furgone. Venuti a conoscenza di quanto era accaduto, i genitori dei fermati si sono recati di corsa al quartier generale dell’Attica della Polizia, in viale Alexandra. Ma gli agenti si sono rifiutati di fornire informazioni sulle accuse nei confronti dei fermati e sulle loro condizioni, scatenando la rabbia dei genitori. Uno dei quali è stato spintonato e preso a pugni da un membro della squadra Delta che aveva realizzato il fermo, che lo ha anche minacciato di denuncia per diffamazione se avesse continuato a lamentarsi. I ragazzi, dopo un lungo tira e molla e dopo numerose angherie nei loro confronti sono stati rilasciati alle 6,30 del mattino successivo, dopo quasi 8 ore di detenzione arbitraria e ingiustificata. I ragazzi hanno riferito che i poliziotti avevano proibito loro di parlare in italiano.

Non è la prima volta che una cosa simile accade ad Atene. Un episodio analogo era già avvenuto con un ragazzo italo-greco di 15 anni, il 17 novembre scorso. Il minorenne era stato trattenuto in questura per 4 ore, vietandogli di avvisare i genitori.

Il sito Left.gr riferisce anche che i genitori dei ragazzini arrestati illegalmente – che hanno la nostra nazionalità - si sono recati ieri all’ambasciata italiana ad Atene per denunciare l’accaduto. I rappresentanti diplomatici di Roma si sarebbero detti disponibili ad approfondire il caso e ad agire di conseguenza presso le autorità elleniche. Anche l’Associazione dei Genitori della Scuola Italiana di Atene ha annunciato che si interesserà alla vicenda. Peccato che in Italia, nel frattempo, della cosa non abbia parlato nessuno…


 

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