Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

mercoledì 12 marzo 2014

L'impossibile trinità dell'Italia

di Agenor                                  
10/03/2014
 
Siamo tra i primi in Europa – sopra a Francia, Germania e Olanda – per liberalizzazione e flessibilità del mercato del lavoro ma per ridurre l'alto debito pubblico dovremo applicare la stessa medicina di riforme strutturali adottate in Grecia e Spagna. L'analisi approfondita (e le ricette sbagliate) della Commissione europea
È uscita lo scorso 5 marzo la “Analisi approfondita" (1) della Commissione europea sull'Italia, documento chiave della procedura per monitorare gli “squilibri macroeconomici” introdotta di recente assieme al fiscal compact. Quest'anno l'Italia è salita sul podio per "squilibri eccessivi" assieme a Slovenia e Croazia, rischiando dunque un'ammenda (che può arrivare fino allo 0.5% del Prodotto Interno Lordo) se non saranno adottate misure correttive sufficienti.
I principali giornali italiani hanno accolto con strisciante giubilo la notizia, riportando per lo più solo il riassuntino iniziale del documento e costernandosi per un "mercato del lavoro asfittico" e una tassazione insopportabile. Leggendo attentamente il rapporto in realtà si capisce come il nostro Paese si trovi di fronte ad un'impossibile trinità: ritornare a crescere, ridurre il debito pubblico e fare riforme.
I principali squilibri identificati per l'Italia sono due: l'alto rapporto debito /Pil e la perdita di competitività sui mercati esteri. Per ridurre leggermente il debito appena sotto il 115% del Pil entro il 2020, l'Italia dovrebbe mantenere a lungo un surplus primario, al netto cioè della spesa per interessi, pari a cinque punti Pil. Si noti che il surplus primario è stato nel 2012 del 2.5% e quello stimato per il 2013 è del 4.5%. A prescindere dalla fattibilità dell'impresa, tale richiesta limiterà ulteriormente lo spazio per qualsiasi tipo di politica fiscale espansiva per anni a venire.
Sulla competitività, invece, si nota finalmente che a livello aggregato i salari nominali italiani sono cresciuti in linea con l'area euro. Si smentisce addirittura che l'Italia non abbia fatto riforme strutturali. Il nostro Paese si piazza davanti a molti altri paesi Europei sia per liberalizzazioni del mercato sia per "flessibilità" del lavoro (dove fa "meglio" fra gli altri di Germania, Olanda, Francia). Si punta il dito sul cuneo fiscale ma si riconosce che, data la riforma delle pensioni in senso contributivo, non vi è molto spazio per ridurlo senza compromettere le pensioni future.
Il rapporto affronta poi problematiche forse meno 'ortodosse', ma non per questo meno note: la scarsa efficacia degli investimenti fatti e la conseguente bassa qualità dei prodotti del nostro export, la difficoltà di accesso al credito, i bassi investimenti in istruzione, ricerca e sviluppo, il sottodimensionamento delle nostre imprese, etc… Non mancano i riferimenti alle inefficienze amministrative e alla corruzione. Infine, e soprattutto, nel rapporto vengono esplicitamente menzionati i limiti strutturali della zona euro: la mancanza di un aggiustamento simmetrico, la bassa inflazione e l'apprezzamento dell'euro.
La conclusione del rapporto è tuttavia sorprendente. Per far fronte ad una "allocazione delle risorse" considerata inefficiente e "in anticipazione dei benefici che le riforme porteranno" è necessario applicare la stessa medicina di riforme strutturali (tagli dei salari e riduzione ulteriore delle protezioni dei lavoratori) adottata negli ultimi anni da Grecia, Spagna e Portogallo. La strada maestra rimane l'eliminazione delle "rigidità" del mercato del lavoro e la deregolamentazione dei mercati di prodotti, capitali e servizi, confidando nell'efficienza dei mercati. Questi ultimi, una volta liberi dalle distorsioni dell’intervento pubblico, tenderanno verso la più efficiente allocazione delle risorse.
Se nella parte analitica si riconosce di fatto che per risolvere i problemi del Paese sarebbe necessaria una nuova politica industriale, un rilancio degli investimenti, l'apertura di nuove fonti di credito per le imprese ed un impegno consistente per migliorare le infrastrutture, la Commissione in qualche modo implicitamente conclude riconoscendo che l'Italia non ha i margini per poter attuare queste riforme. Non resta che tagliare i salari per diventare più competitivi.
È nella frattura tra analisi e conclusioni, dunque, che il rapporto rivela come la periferia europea e, ancora peggio, le istituzioni siano da tempo sotto scacco. La metamorfosi di un'analisi sugli squilibri macroeconomici nell'ennesimo strumento di vuota retorica sulla svalutazione interna rivela la grottesca svolta kafkiana del processo stesso di integrazione Europea.
Come forse meglio di tutti ha riassunto il grande economista americano Hyman Minsky, il capitale finanziario sempre più libero da vincoli regolamentari tende a muoversi accumulandosi laddove i ritorni sono (o sembrano) i più alti e i più facili. Da qui nascono le bolle, che dal 1700 in poi ricorrono nella storia del capitalismo con frequenza maggiore laddove è minore il controllo istituzionale. In secondo luogo, le bolle quasi sempre si originano in un settore dell'economia (borsa, edilizia, debito estero) ma poi lo shock travolge tutti gli agenti economici in misura diversa: i più esposti, i meno protetti, ne pagano le conseguenza maggiori, indipendentemente dal fatto di avere molta, poca o nessuna responsabilità.
La presenza delle cosiddette "rigidità" e un ruolo importante e proattivo del governo impediscono che un effetto domino simile a quello del 1929 prevalga a seguito di una crisi, ovvero che fallimenti in sequenza travolgano anche imprese e settori altrimenti del tutto sani, riducendo i costi non solo sociali ma anche economici di tali crisi. Le cosiddetta "svalutazione interna", al contrario, amplifica – e non limita - gli effetti delle crisi, trasmettendo il contagio al resto dell'economia, provocando caduta d'occupazione ad aumento del peso reale del debito.
Ciò non significa che l'Italia non abbia bisogno di riforme. Ma per fare le riforme davvero necessarie servirebbero margini di manovra che non possono esistere nel contesto istituzionale che ci siamo dati, a causa della concomitante richiesta di ridurre a tappe forzate il debito pubblico e la mancanza di qualunque tipo di capacità fiscale a livello federale. Se si aggiunge l'ostinazione della Banca Centrale Europea nel perseguire politiche fortemente inadeguate, ecco riassunta l'impossibile trinità dell'Italia: ciò che dovremmo fare è impossibile e ciò che stiamo facendo non funzionerà.
(1) http://ec.europa.eu/economy_finance/economic_governance/macroeconomic_imbalance_procedure/index_en.htm


lunedì 10 marzo 2014

Ecco tutti i nazisti del neogoverno ucraino

Da megachip.info

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I nostalgici di Hitler occupano alcune poltrone chiave
dell'esecutivo, come il ministero della Difesa e quello
dell'Istruzione. Legami anche con Al-Qa'ida.

domenica 9 marzo popoff.globalist.it *di Franco Fracassi*

Vice primo ministro, ministro della Difesa, segretario e vice
segretario del Consiglio nazionale di Sicurezza e Difesa, ministro
dell'Istruzione, ministro dell'Ambiente, ministro dell'Agricoltura,
ministro della Gioventù e dello Sport, procuratore generale
dell'Ucraina, presidente della commissione Anticorruzione. I nazisti
nostalgici di Hitler hanno preso possesso del nuovo governo ucraino,
occupando molti dei posti chiave. È la prima volta dalla seconda
guerra mondiale che dei politici che si rifanno espressamente al Terzo
Reich salgono al potere in Europa.

E non è tutto. Due di queste persone sono legate a Doku Khamatovich
Umarov (conosciuto col nome islamico di Dokka Abu Usman), uno dei più
feroci comandanti dei ribelli ceceni, nonché autoproclamatosi ex
Emiro dell'Emirato del Caucaso. Abu Usman ha rivendicato sia
l'attentato del 29 marzo 2010 alla metropolitana di Mosca (quarantuno
morti), sia quelo all'aeroporto di Mosca del 2011 (trentasette morti).
L'Emirato islamico del Caucaso è iscritto dalle Nazioni Unite come
organizzazione appartenente alla galassia di Al-Qa'ida. Uno di questi
due politici ha anche personalmente combattuto in Cecenia contro i
russi.

In Ucraina esistono diversi partiti che si rifanno alla tradizione
nazista e a Stepan Bandera, capo della divisione Ss Galizien,
responsabile dell'eccidio di centinaia migliaia di persone e della
deportazione di un numero equivalente di ebrei, comunisti e zingari
verso i campi di sterminio nazisti. In alcune zone dell'Ovest,
epicentro della rivolta anti Yanukovich, alle ultime elezioni la
galassia di estrema destra ha superato il quaranta per cento dei voti.
Oggi, tutti questi partiti sono entrati a far parte del governo.

L'Unione Pan-Ucraina "Libertà", meglio conosciuto come Svoboda, è
il più importante partito neonazista. Nato nel 1991 col nome
esplicito di Partito nazionalsocialista dell'Ucraina, oggi è guidato
da Oleg Tiaghnibok, che a piazza Maidan indossava un casco e uno scudo
con una croce celtica in bella evidenza, insieme al numero 1488, che
è l'emblema del neonazismo suprematista bianco.

Il programma politico di Svoboda prevede l'abolizione del diritto
d'aborto e la criminalizzazione di chi anche solo si dichiara a favore
dell'aborto, la messa al bando di tutti i partiti comunisti, il
diritto di possedere armi, l'indacazione sui passaporti
dell'appartenenza etnica e religiosa, la creazione di un arsenale
nucleare ucraino, l'entrata nell'Unione Europea e l'adesione alla
Nato.

Il deputato di Svoboda Ihor Miroshnychenko ha dichiarato:
«L'omosessualità andrà bandita da questo Paese, perché è una
malattia che aiuta a diffondere l'Aids». Miroshnychenko ha scritto un
libro ("Nazionalsocialismo") per spiegare l'ideologia che è alla base
del suo partito. Tra i riferimenti ideologici più ricorrenti figurano
il capo delle camicie brune Ernst Röhm, il gerarca nazista Gregor
Strasser e il vice di Hitler Joseph Goebbels. Lo stesso deputato,
sulla sua pagina Facebook, ha definito l'attrice Mila Kunis «una
scrofa», perché è nata sì in Ucraina, ma da padre russo e madre
ebrea.

Svoboda è stato definito dal Centro Simon Wiesenthal: «Uno dei
cinque partiti più anti semiti del pianeta».

I camerati del Tridente (Trizub in ucraino) sono quelli che durante
la battaglia di Kiev hanno occupato le caserme e i depositi d'armi. Il
loro leader, Dmitrij Jarosh, viene considerata la figura più
minacciosa e pericolosa tra i leader di estrema destra.

Il partito Karpatskaja Sech prende il nome da una lingua inventata
dai nazisti ucraini durante la seconda guerra mondiale quando, sotto
l'occupazione hitleriana, venne abolito il russo. Secondo i
collaborazionisti la karpatskaja rus era la mitologica lingua che si
parlava in Ucraina prima della nascita del regno russo, la Rus di
Kiev.

Una-Unso, acronimo di Assemblea nazionale ucraina-Auto difesa del
popolo ucraino, è un partito di estrama destra i cui militanti si
organizzarono in brigate volontarie che andarono a combattere al
fianco dei guerriglieri ceceni. La sua idealogia si basa sul
fondamentalismo ortodosso, sul nazionalismo ucraino, sull'anti
semitismo e sulla «necessità di un governo autoritario».

Ministro per ministro, Popoff è in grado di raccontarvi chi sono i
politici che hanno preso il potere a Kiev, coloro che avranno un ruolo
chiave nell'approviggionamento energetico dell'Europa e che forse in
futuro siederanno nella Commissione europea.

*Andriy Parubiy*

Segretario del Consiglio nazionale sicurezza e difesa (corpo ombrello
del ministero della Difesa e delle Forze Armate).
Cofondatore di
Svoboda.

*Dmitriy Jarosh*

Vicesegretario del Consiglio nazionale Sicurezza e Difesa.
Capo del
Trizub Stepan Bandera e di Fazione destra. Jarosh ha combattuto
con
gli islamisti ceceni.

*Oleksandr Sych*

Vicepremier e membro di Svoboda.
Attivista antiaborto, anche in
caso di stupro.

*Igor Tenjukh*

Ministro della Difesa. Anche se la sua adesione formale a Svoboda non
è certa, ha partecipato alle sue riunioni.

*Sergej Kvit*

Ministro della Pubblica Istruzione.
Membro di Svoboda.

*Andriy Mokhnik*

Ministro dell'Ambiente. Membro di Svoboda.

*Igor Shvajka*

Ministro dell'Agricoltura. Membro di Svoboda.

*Dmitry Bulatov*

Ministro della Gioventù e dello Sport. Membro di Una-Unso.

*Oleg Makhnitskiy*

Procuratore generale dell'Ucraina.
Membro di Svoboda.

*Tatyana Chornovol*

Presidente della commissione Anticorruzione nazionale.
Membro di
Una-Unso.

Fonte:
http://popoff.globalist.it/Detail_News_Display?ID=99020&typeb=0&Uno-per-uno-i-nazisti-nel-nuovo-governo-ucraino

Oltre i fondamentalismi

Fonte: il manifesto | Autore: Giuliana Sgrena                                                       
 
Ho seguito la nascita della lista Altra Europa con Tsi­pras con grande tre­pi­da­zione, col timore che potesse fal­lire. Ho cono­sciuto Ale­xis Tsi­pras al mani­fe­sto e ho pen­sato che tanto entu­sia­smo e attac­ca­mento alla realtà non poteva non con­ta­giarci, che la Gre­cia non poteva essere lasciata sola a sfi­dare quell’Europa che l’aveva con­dan­nata alla mise­ria. Sfi­darla non per abban­do­narla ai nazio­na­li­smi, ma per cam­biarla dall’interno per­ché la poli­tica dell’austerità è una con­danna anche per noi.
La sfida per un’altra Europa parte dal Medi­ter­ra­neo, innan­zi­tutto per eli­mi­nare il muro costi­tuito da Fron­tex. Ho pen­sato di dovermi spen­dere per un sogno che vuole andare al di là dell’Italia, ma per sal­vare anche il nostro paese. Sono rima­sta al di fuori del dibat­tito sulle can­di­da­ture, visto che compagne/i — mili­tanti e non — del Pie­monte e della zona di Como hanno rac­colto le firme per pro­porre la mia, soste­nuta anche da per­so­na­lità di rile­vanza nazio­nale, che rin­gra­zio. Non sono stata can­di­data da un par­tito anche se fac­cio parte di un par­tito, che a sua volta ha pro­po­sto anche can­di­da­ture esterne. Penso che non sia con­sueto nella poli­tica. Que­sto mi ha fatto ben spe­rare nel pro­cesso in corso, con tutti i suoi limiti, ine­vi­ta­bili per un’operazione che aveva tempi brevi e molte pres­sioni e sollecitazioni.
Ci sono stati errori? Sicu­ra­mente. Non si dove­vano can­di­dare espo­nenti di par­titi, che pure non hanno rico­perto cari­che isti­tu­zio­nali negli ultimi dieci anni? Si è scelto di farlo, per allar­gare il fronte e non esclu­dere nes­suno. Mi dispiace molto per il ritiro dalla lista di Anto­nia Bat­ta­glia, impe­gnata nella con­tro­in­for­ma­zione sull’Ilva di Taranto, io penso che avrebbe dovuto con­ti­nuare la sua atti­vità anche, se lo ritiene cor­retto, con­tro il pre­si­dente Ven­dola, che non è can­di­dato. Sarà lui a difen­dere il suo ope­rato davanti alla magi­stra­tura. Senza dimen­ti­care che ora il livello di inqui­na­mento è noto pro­prio gra­zie all’introduzione da parte della regione degli stru­menti per misu­rarlo. In una situa­zione lace­rata com’è quella di Taranto, divisa tra la difesa della salute e la difesa del lavoro, non si può sot­to­va­lu­tare la com­ples­sità e direi quasi l’aporia di una tale que­stione. E poi, si può con­dan­nare una lista per­ché den­tro c’è Sel e il pre­si­dente di Sel è Ven­dola? Se Bat­ta­glia aveva da rim­pro­ve­rare qual­cosa ai can­di­dati di Sel lo doveva fare, ma senza ritirarsi.
Oppure si può con­dan­nare una lista per­ché den­tro c’è Vale­ria Grasso che ha par­te­ci­pato a una mani­fe­sta­zione anti­ma­fia con i Fra­telli d’Italia (ma meno di un mese fa ha pre­sen­tato anche la mani­fe­sta­zione nazio­nale con­tro la Fini-Giovanardi insieme ai cen­tri sociali)? Nes­suno credo l’abbia costretta a can­di­darsi e met­tersi in gioco con scarse pos­si­bi­lità di essere eletta, come stiamo facendo quasi tutti noi. Natu­ral­mente spe­riamo che la lista abbia un grande suc­cesso e ci impe­gniamo per rea­liz­zarlo, ma senza nascon­derci la realtà. Quella di Grasso può appa­rire una scelta con­trad­dit­to­ria ma credo pos­siamo accet­tare la sua spie­ga­zione, il suo dichia­rarsi al di fuori di qual­siasi appar­te­nenza poli­tica. In quanto a Anto­nio Maz­zeo, che invece cono­sco per aver con­dotto bat­ta­glie comuni e che vuole riti­rarsi, spero che non perda la pos­si­bi­lità di dare una dimen­sione euro­pea alla bat­ta­glia anti-Mous.
Chi di noi non ha mai com­messo errori? Chi di noi ha in tasca la verità? Non pos­siamo farci irre­tire da posi­zioni fon­da­men­ta­li­ste che del resto abbiamo sem­pre com­bat­tuto. Dovremmo pro­vare a guar­dare oltre i con­tra­sti locali per dare un oriz­zonte più ampio alle que­stioni che difen­diamo: stiamo par­lando di Europa. Nelle liste Altra Europa con Tsi­pras ci sono diverse posi­zioni, diverse sen­si­bi­lità, per­ché non pro­viamo a con­ta­mi­nare e con­ta­mi­narci? Il cam­mino in seguito sarà più ricco.

domenica 9 marzo 2014

Moneta e crisi

claire fontaine, change3
Andrea Fumagalli
Siamo in un momento di stallo. Con l’avvento del sistema di produzione capitalista, la moneta diventa espressione del capitale e del rapporto sociale di sfruttamento del lavoro. Con il passaggio dal capitalismo taylorista-fordista al bio-capitalismo cognitivo finanziarizzato, la funzione principale della moneta si modifica. La funzione di credito, tipica di un sistema D-M-D’ (economia monetaria di produzione), dove l’attività di investimento nella produzione di beni richiede una anticipazione monetaria e l’indebitamento degli attori economici (siano essi imprese private o lo Stato), lascia sempre più spazio alla moneta- finanza (economia finanziaria di produzione). La moneta finanza, non a caso, coincide con la dematerializzazione totale di denaro, essendo pura moneta-segno.
È importante sottolineare che tale passaggio dalla moneta-credito alla moneta-finanza implica un cambio di governance monetaria: la prima veniva e viene tuttora emessa sotto il controllo delle istituzioni monetarie (banche centrali), mentre la seconda, invece, dipende dalle dinamiche del mercato finanziario. Fino alla crisi del fordismo, infatti, l’istituzione della Banca Centrale aveva il compito di esercitare un controllo diretto e preciso sulla quantità di moneta (M1) emessa dalle zecche nazionali (fiat money). Ma oltre il 90% della massa monetaria è ora fornito da banche private e investitori finanziari, sotto forma di prestiti o attività speculative, sulla cui quota la Banca centrale ha solo un controllo molto indiretto. Ciò significa che, nonostante la Banca centrale possa unilateralmente e autonomamente fissare i tassi di interesse e di imporre riserve obbligatorie alle banche, la quantità di denaro in circolazione è meno controllabile dalla stessa Banca Centrale.
In un sistema capitalistico che si basa su una economia finanziaria di produzione, la quantità di moneta è endogeneamente determinata dal livello di attività economica e dall’evoluzione delle convenzioni finanziarie (in termini keynesiani) che governano il mercato finanziario internazionale. La Banca centrale può solo cercare di aumentare o diminuire l’offerta di moneta in circolazione, ma niente di più, inseguendo e assecondando le dinamiche degli stessi indici finanziari. Questa possibilità viene ora ulteriormente ridotta dal nuovo ruolo svolto dai mercati finanziari nel processo di finanziamento dell’attività di investimento, tramite le plusvalenze e la creazione di titoli altamente liquidi (definiti near money, quasi moneta) .
Ne consegue paradossalmente che i poteri discrezionali delle Banche centrali sono tanto più ridotti quanto più esse stesse sono diventati istituzioni politicamente indipendenti. Come conseguenza, i poteri di controllo e vigilanza della Banca centrale sul settore bancario e, attraverso la variazione dei tassi di interesse, sull’intero sistema economico sono sempre più funzionali alle dinamiche in atto nei mercati finanziari e sempre più dipendenti dalle oligarchie che li dominano.
Ciò significa che, nel bio-capitalismo cognitivo, la moneta e la determinazione del suo valore non sono più sotto il controllo della Banca centrale. Nel momento stesso in cui la moneta è puro segno sfugge a qualsiasi controllo pubblico, perdendo lo status di “bene di controllo pubblico”. Il suo valore è determinato di volta in volta dall’operare delle attività speculative sui mercati finanziari. Le sue funzioni di mezzi di pagamento e unità di conto (misura del valore ), così come di riserva di valore e dei mezzi di finanziamento della accumulazione /sviluppo, diventano fuori controllo. Nel momento in cui la sua quantità e la modalità di circolazione sono determinati dalle convenzioni che dominano mercati finanziari sempre più concentrati, la moneta diviene ostaggio delle aspettative che l’oligarchia (o meglio, la dittatura dell’oligarchia ) dei mercati finanziari è in grado di esercitare.
Oggi, possiamo dire che la creazione di moneta finanza è l’espressione (distorta) del comunismo libertario del capitale. Lo conferma la dipendenza della politica monetaria dalle dinamiche finanziarie. La moneta diventa espressione del bio-potere finanziario, esito dell’espropriazione del comune, come nuova forma di sfruttamento del lavoro nel bio-capitalismo cognitivo. In questo contesto, tuttavia, si possono aprire spazi nuovi e inesplorati. Non è più possibile agire una “resistenza”: il biopotere dell’oligarchia finanziaria è, al riguardo, troppo forte per pensare a qualche politica di controllo e di riforma degli stessi mercati finanziari in senso più equo. Ma vi è la possibilità e lo spazio per agire forme di esodo all’interno di questo stesso sistema.
Un esodo, si badi bene, che non è fuga verso un “altrove” che non c’è, ma realistica praxis dell’eccedenza presente: forma di contropotere finanziario. Proprio perché la moneta è puro segno, non più soggetta ad un monopolio di emissione (se non per la parte cartacea, una parte irrisoria della liquidità circolante) e quindi non più controllabile dalle istituzioni monetarie oggi esistenti (siano essi Fmi o le varie Banche Centrali, dalla Federal Reserve, alla Bce, alla Bank of China), oggi, la tecnologia ci permette di creare denaro in forma digitale. Una creazione autonoma di moneta che, se indirizzata a incidere sul rapporto di sfruttamento capitale – lavoro, può essere funzionale a creare le premesse per pensare un processo di produzione e di valorizzazione a misura dell’essere umano, antagonista alla mercificazione della vita che oggi impera da Est a Ovest.
Esistono già sperimentazioni di “moneta autonoma”, dalle monete complementari alle cripto-monete (Bitcoin, Litecoin, Freecoin…). Esse però svolgono ancora solo la funzione di mezzo di pagamento e unità di conto: sono funzionali, cioè, all’attività di puro scambio. E, poiché sono prodotte in regime di scarsità, possono essere soggette a attività speculative (come è successo con il Bitcoin) e quindi svolgere la funzione di riserva di valore, per speculare al rialzo sul rapporto di cambio con le monete tradizionali (dollaro, in primis). Da questo punto di vista, vengono “sussunte” nella logica del biopotere finanziario.
Ma se vogliamo creare un’”Autonomia monetaria”, essa deve coniugarsi con un’ “Autonomia precaria e di vita”, se è vero che oggi la condizione precaria, strutturale, esistenziale, generalizzata, moderna forma del rapporto di sfruttamento “capitale-lavoro”, è la modalità su cui si fonda il processo di espropriazione della cooperazione sociale e di creazione di ricchezza. Ecco allora che una moneta alternativa, per definirsi tale, deve in primo luogo essere strumento di remunerazione di quella vita produttiva e di quell’attività lavorativa che oggi viene costantemente svalorizzata: deve essere dunque strumento monetario per finanziare il salario minimo, un reddito di base incondizionato, l’accesso (libero e gratuito) ai servizi sociali di base per tutte/i, a prescindere dallo status giuridico di cittadinanza. Non solo mezzo di pagamento, ma strumento di autodeterminazione della propria vita e di libertà di scelta del lavoro.

Rodotà sostiene la lista Tsipras: L’importanza dell’Altra Europa

Fonte: il manifesto | Autore: Roberto Ciccarelli
                                
                                                Intervista a Stefano Rodotà . I problemi e le risorse dell’«Altra Europa con Tsipras». Per il giurista «non esprime un soggetto sociale stabilizzato, ma può avere un ruolo importante nel coniugare diritti sociali e costituzionali» in una prospettiva anti-austerity. «Vogliamo proporre anche un referendum sul pareggio di bilancio»
«Per eli­mi­nare ogni equi­voco dico subito che sosterrò la lista Tsi­pras e la voterò». Ste­fano Rodotà chia­ri­sce la natura delle osser­va­zioni pub­bli­cate in un recente arti­colo da «La Repub­blica» che hanno sca­te­nato una ridda di inter­pre­ta­zioni «in base ad un titolo che non era mio – afferma – In realtà ho cer­cato di fare un ten­ta­tivo di ana­lisi poli­tica. Ci viene detto che siamo in emer­genza, che i numeri non ci sono e che Renzi è l’ultima spiag­gia. Que­sto è un modo per blin­dare il suo governo. Una cosa inam­mis­si­bile. Io ritengo invece che il ruolo della poli­tica stia pro­prio nel pro­get­tare vie d’uscita dalle situa­zioni pre­sen­tate come emer­gen­ziali. E non credo, come invece fanno alcune inter­pre­ta­zioni die­tro­lo­gi­che, che la lista Tsi­pras, i tran­sfu­ghi del Movi­mento 5 Stelle, i depu­tati di Civati o Sel pos­sano dive­nire una stam­pella per il Pd. È un ragio­na­mento poli­ti­ci­stico che fran­ca­mente non mi interessa».
Ha comun­que espresso alcune per­ples­sità sulla lista Tsipras…
Con­si­de­rata l’importanza della situa­zione, non voglio dare rile­vanza a quelli che pos­sono essere sbri­ga­ti­va­mente con­si­de­rati i rischi che corre que­sta lista, ma ai pro­blemi veri che stanno emer­gendo. Non mi sono affatto ignote le dif­fi­coltà legate alla com­po­si­zione delle liste elet­to­rali, in que­sti casi ci sono sem­pre con­flitti e con­tra­sti. Non si può tut­ta­via tra­scu­rare la dif­fe­renza che c’è tra una valu­ta­zione e la scelta delle per­sone. Que­sto pro­blema si può riflet­tere sulla cam­pa­gna elet­to­rale. I pro­blemi ci sono e biso­gna affron­tarli adesso. Anche per evi­tare che ven­gano stru­men­ta­liz­zati in seguito.
Qual è il primo pro­blema che vede?
Que­sta lista di cit­ta­di­nanza sarà un taxi che por­terà, come mi auguro, dei par­la­men­tari a Bru­xel­les, ma che in seguito si ripar­ti­ranno in gruppi diversi? È un’ipotesi, certo, che secondo me non dovrebbe essere con­fusa con il neces­sa­rio plu­ra­li­smo che una lista simile deve espri­mere. Ma se que­sta ope­ra­zione, che è impor­tan­tis­sima per l’Italia, dovesse dis­sol­versi subito dopo il voto, sarebbe cer­ta­mente un problema.
Si rife­ri­sce al rap­porto tra il gruppo dei socia­li­sti di Schultz e quello della sini­stra euro­pea che ha can­di­dato Tsi­pras alla pre­si­denza della Com­mis­sione Ue?
Mi pare che si vada mate­ria­liz­zando que­sto pro­blema, anche se i pro­mo­tori della lista riten­gono che sia pos­si­bile risol­verlo. Biso­gna averne con­sa­pe­vo­lezza evi­tando di pen­sare che ogni pro­ble­ma­tiz­za­zione leda la mae­sta della lista Tsi­pras. Per me que­sto è un pas­sag­gio dif­fi­cile, ma essen­ziale, da affrontare.
La sug­ge­stione dell’esperienza di Siryza è molto forte, ma sem­bra fuori dalla por­tata delle sini­stre ita­liane. Un per­corso simile potrebbe nascere da que­sta lista?
L’Altra Europa con Tsi­pras non esprime un sog­getto sociale già costruito e sta­bi­liz­zato. Il rife­ri­mento a Syriza potrebbe essere d’aiuto per evi­tare di rin­chiu­derla in un con­te­sto auto­re­fe­ren­ziale. Ma il lavoro da fare è tan­tis­simo. Siryza si è for­mata dopo un’operazione poli­tica e di inse­dia­mento sociale impor­tante. Que­sta cam­pa­gna elet­to­rale euro­pea non può costruire un sog­getto sociale, ma dovrebbe essere capace di tro­vare un modo per fare espri­mere que­ste esi­genze in maniera com­pren­si­bile e coerente.
Sono state sol­le­vate per­ples­sità sulla scelta di per­sone note come Bar­bara Spi­nelli, Adriano Pro­speri o Moni Ova­dia di dimet­tersi dopo l’eventuale ele­zione. Non crede che biso­gne­rebbe evi­tare i «can­di­dati civetta»?
Hanno giu­sti­fi­cato que­sta deci­sione per un fatto di one­stà e di tra­spa­renza per gli elet­tori. Così facendo vogliono dare il mas­simo soste­gno e respon­sa­bi­lità a chi par­te­cipa alla lista. Ho apprez­zato molto le loro ragioni. Altri, a comin­ciare da Ber­lu­sconi, si sono fatti eleg­gere per trai­nare una lista e poi non sono mai andati a Bru­xel­les. La mia non è un obie­zione, e non intendo cal­va­care chi la sta facendo. Si tratta però di un tema già sol­le­vato nei mondi a cui fa rife­ri­mento la lista Tsi­pras e rischia di essere ripro­po­sto. Non voglio fare l’elogio dell’importanza della comu­ni­ca­zione, ma biso­gna usare il lin­guag­gio più adeguato.
È stato dato rilievo alla con­trap­po­si­zione tra le can­di­da­ture di Sonia Alfano e Luca Casa­rini, un con­flitto impro­prio con­si­de­rate le regole poste dagli stessi «garanti» della lista per i quali Alfano era già in par­tenza incan­di­da­bile per avere rico­perto inca­ri­chi poli­tici pre­ce­denti. Un epi­so­dio che sem­bra tra­durre due idee di sini­stra: la prima incen­trata sulla lega­lità e la società civile, la seconda sui diritti sociali e i movi­menti. Potranno mai coesistere?
Di certo non sono incom­pa­ti­bili. Tra l’altro, que­sto sta già avve­nendo da tempo, ad esem­pio con «Libera» di Don Luigi Ciotti. Ma il discorso è senz’altro più ampio e riguarda la grande que­stione dell’unione tra diritti civili e sociali, tra i diritti delle per­sone e quelli del lavoro. Il pro­blema riguarda il modo in cui è pos­si­bile sal­dare diritti costi­tu­zio­nali e diritti sociali. È la pro­spet­tiva sol­le­vata da Gustavo Zagre­bel­sky in una recente inter­vi­sta su Il Mani­fe­sto , una per­sona che non mi sem­bra affatto insen­si­bile al rispetto della logica della lega­lità. Su que­sto punto nem­meno io sono reti­cente. La lega­lità richiede un’idea forte di mora­lità pub­blica, non c’è alcun dubbio.
In cosa si distin­gue que­sto approc­cio dai discorsi pre­va­lenti sulla «cul­tura» della legalità?
Risponde ad una pro­spet­tiva poli­tica che ha solide basi cul­tu­rali. Io ci credo molto e vedo cre­scere la con­sa­pe­vo­lezza dal refe­ren­dum sull’acqua bene comune dal 2011 in poi. Per que­sto vado a Parma da Piz­za­rotti (5 Stelle) che ha pre­sen­tato un pac­chetto di sette deli­bere dalle unione civili al garante dei dete­nuti alla cit­ta­di­nanza civica ai bam­bini degli immi­grati. Per la stessa ragione appog­gio la Fiom di Lan­dini e gli auto­con­vo­cati che hanno il merito di non essersi accon­ten­tati degli stru­menti sto­rici dell’azione sin­da­cale, come lo scio­pero, e hanno con­dotto una bat­ta­glia costi­tu­zio­nale sulla riam­mis­sione dei rap­pre­sen­tanti sin­da­cali nelle fab­bri­che. Per affron­tare l’asimmetria con il potere oggi biso­gna costruire una cul­tura poli­tica e giu­ri­dica alta, non limi­tan­dosi a solu­zioni emer­gen­ziali o fram­men­tate. La lista Tsi­pras, alla quale par­te­cipa anche il movi­mento per l’acqua, potrebbe avere un ruolo impor­tante pro­muo­vendo una coa­li­zione sociale, esat­ta­mente quello che cerco di fare a par­tire dalla mani­fe­sta­zione del 12 otto­bre. Con Spi­nelli, Pro­speri o Ova­dia, la lista esprime que­sta aspi­ra­zione e una grande aper­tura cul­tu­rale. Esat­ta­mente il con­tra­rio di chiu­sure iden­ti­ta­rie o il ripie­ga­mento sulle ideo­lo­gie del Novecento.
Par­lare di coa­li­zioni sociali signi­fica anche inter­lo­quire con i movi­menti della casa e per il red­dito. In occa­sione della mani­fe­sta­zione sulla «Via mae­stra» del 12 otto­bre e di quella del 19 otto­bre è emersa una certa con­trap­po­si­zione che sem­bra tor­nare oggi nella cri­tica dell’elitarismo dei pro­mo­tori della lista e i loro rife­ri­menti alla «società civile». Si riu­scirà mai ad impo­stare un lavoro comune?
Me lo auguro, anche per­ché in que­sti casi il rife­ri­mento ai diritti fon­da­men­tali, la casa o il red­dito, è for­tis­simo, come altrove. Se que­sta lista andrà oltre la soglia del 4% si apri­ranno oppor­tu­nità per tutti. Chia­marsi fuori va benis­simo, ma vor­rei rove­sciare l’accusa.
In quali termini?
Chi oggi si chiama fuori lo fa in modo eli­ta­rio per sal­va­guar­dare la legit­ti­ma­zione di movi­menti legati a bat­ta­glie con­crete. Ma que­sto nes­suno lo mette in discus­sione. Dico solo che in un momento come que­sto si potrebbe otte­nere anche il soste­gno di chi va nella tua stessa dire­zione. È una vec­chia sto­ria dei movi­menti. Il con­tatto con le isti­tu­zioni sem­bra minac­ciare la capa­cità di azione sociale e impone com­pro­messi. Ma in poli­tica biso­gna anche pren­dersi il rischio dell’innovazione quando que­sta è neces­sa­ria. Secondo me que­ste cri­ti­che non sono giustificate.
La mani­fe­sta­zione a difesa della Costi­tu­zione del 12 otto­bre non ha pro­dotto un seguito. In che modo pen­sate di riav­viarne il per­corso, visto che Pd, Forza Ita­lia e Ncd con­ti­nuano a pro­pore nuove e rischiose riforme?
Ci stiamo rior­ga­niz­zando e pen­siamo di insi­stere su una serie di pro­po­ste di leggi popo­lari sulla par­te­ci­pa­zione, sull’iniziativa legi­sla­tiva popo­lare, sul red­dito di cit­ta­di­nanza anche se decli­nato oggi nella forma più sem­plice del red­dito minimo. Stiamo stu­diando le pos­si­bi­lità di un refe­ren­dum che riguardi il pareg­gio di bilan­cio intro­dotto nell’articolo 81 della Costi­tu­zione in maniera fret­to­losa e senza alcuna discus­sione. Non era obbli­ga­to­rio, altri paesi come la Fran­cia non l’hanno fatto. Ma è una misura ter­ri­bile che schiac­cerà que­sto paese sotto il peso dell’austerità. Visto che oggi esi­ste la lista Tsi­pras non ho dubbi che que­sta pro­spet­tiva possa essere inte­res­sante poli­ti­ca­mente anche per loro.

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